L’altra sera ero a bere qualche gin tonic con due mie amiche con cui condivido la stessa situazione di vita. Tra una chiacchiera e l’altra siam caduti su un discorso che ho fatto molte volte con tanta gente, soprattutto emigrata: la comprensione di uno stile di vita diverso da parte di chi non lo ha mai sperimentato. Tutto e’ cominciato quando abbiamo cominciato a parlare dei nostri genitori, e di come a volte non capiscano qual e’ il modo migliore per supportarci nelle nostre difficolta’, avendo loro uno stile di vita e una scala di valori molto diversi. Ci siamo un po’ guardati attorno e dentro noi stessi, e abbiamo visto dei (o delle) trentenni ancora vogliosi di andare in giro per il mondo e fare esperienze che sono normalmente precluse a chi non viaggia, a chi non emigra, a chi non cambia il paradigma della propria vita ogni tot anni. E da li’, una domanda e’ sorta quasi spontanea. Ma da che parte sta il tempo?
La mia risposta immediata e’ stata positiva. Si’, sta dalla nostra. Si’, il tempo per fare tante cose c’e’ sempre. Ci sara’ un tempo per sposarsi ed avere figli, ci sara’ il tempo per cambiare lavoro altre due o tre volte, magari citta’ o paese o continente, trovare nuovi amici, conservare o dimenticare i vecchi. Ho argomentato con un pezzo della mia storia personale, che gia’ da un po’ ho ben digerito. A me e’ stato di grande aiuto cominciare a suonare in giro relativamente presto, da adolescente. Osservando il pubblico ho scoperto un universo di gente che seguiva un paradigma di vita diverso da quello che vedevo nel circondario di casa mia. Parenti, amici di famiglia, vicini di casa, tantissimi con storie “ordinarie”: matrimonio e figli, mutuo e sacrifici, settimana al mare o in montagna, lavoro e casa. Invece ai concerti vedevo bikers 40enni che si erano appena trovati il partner e litigavano davanti a tutti, 50enni che seguivano le band a tutti i concerti e chissa’ se avevano una famiglia, tantissimi che facevano lavori stagionali e si spostavano qua e la’. Insomma, tutti con una vita completamente diversa, eppure percepita sorprendentemente come dignitosa e rispettabile. E li’ mi son detto che non esiste un modo di vivere canonico, non c’e’ un mainstream e qualche marginale rivolo di gente che fa una vita “strana”. Poi piu’ avanti negli anni mi son ritrovato a non esserci proprio nel mainstream, e quest’esperienza mi ha rafforzato nelle mie convinzioni, mi ha consolato, mi ha fatto pensare di non essere parte dei pochi. Perche’ essere parte dei pochi potrebbe significare che non hai fatto la scelta giusta, in omaggio al mai detto ma sempre sottinteso teorema che la scelta migliore e’ quella percorsa piu’ spesso. No, ho detto a me stesso mentre cercavo di convincere loro, non esiste una via principale.
Tornando a casa, pero’, son stato tormentato dal dubbio. Ma davvero una persona ha tutto il tempo di fare quel che gli pare? Voglio dire, volente o nolente un legame con le tue origini, o meglio con il modo di vivere del posto in cui vivi, ti rimane sempre. E per un po’ di anni vai avanti con questa bugia dicendo agli altri che si’, per un po’ di tempo starai via, ma poi tornerai, che i soldi che stai mettendo via sono per un mutuo futuro, per una casa da comprare, come se tu sapessi che chiunque deve tornare al modo originario di vivere. Che anche se deciderai di vivere in qualche altro paese, alla fine metterai sempre radici, ti fossilizzerai e metterai su famiglia, il paradigma di vita che i tuoi genitori ti hanno insegnato col loro esempio verra’ di nuovo fuori. Ma come potra’ accadere tutto cio’ mentre sei impegnato a fare altre cose nella tua vita? Magari spendere un anno sabbatico da qualche parte, cambiare citta’, metterti a scrivere quel libro che hai gia’ in testa da anni, esplorare nuove professioni. Ci vorrebbero 20 anni solo per ricavare la giusta soddisfazione da tutte queste cose. E passati quei 20 anni non puoi fermarti e dire OK, ora mi reinvento un altro stile di vita e lo vivo con la stessa intensita’. Non hai il tempo di godere appieno di tutte le cose che hai in mente, di coltivare quel che e’ dentro di te per un periodo sufficiente a darti la soddisfazione, la pienezza di cui hai bisogno per mettere un punto, per dire che ce l’hai davvero fatta. E qui e’ cominciata l’inquietudine. Non e’ che e’ il tempo stesso – o meglio, il tempo che le cose necessitano – a dirti che strada prendere mano a mano che vai avanti nella tua vita? Che magari sei li’ a dirti che ti devi accontentare, che ti conviene prendere una strada fatta di cose che sono ragionevolmente realizzabili nel lasso di tempo che ti rimane, e che e’ meglio lasciar perdere il resto? E’ questo il segreto, la condanna dell’essere adulti?
Arrivato a questo punto ho avuto un moto di stizza. Fanculo – pensavo – ci vorrebbe una vita lunga 200 anni almeno! Ma poi e’ arrivata la salvifica ironia. Perche’ anche se avessimo una vita lunga 200 anni o piu’, probabilmente troveremmo dei nuovi modi di vivere che hanno un tempo di esaurimento ben piu’ lungo, cosicche’ saremmo di nuovo punto e a capo. Anche se vivessimo per secoli, ci lamenteremmo sempre del tempo che manca, e di quanto sia in fondo lui a scegliere per noi la cosa giusta da fare. Non e’ un’ironica fregatura? Ma in fondo se un problema non ha vera soluzione, non vale troppo la pena di continuare a cercarla. E di colpo tutto e’ diventato leggero, al punto da far sembrare pesante anche un lieve mal di testa provocato dal gin tonic.
Che piacere leggerti! ;-)
Thanks. Tenere aperto un blog alla fine e’ una figata :)
Ciò che esprimi viene indicato in un verso biblico tra i miei preferiti: “Ho visto l’occupazione che Dio ha dato ai figli del genere umano perché vi siano occupati.+ 11 Ogni cosa egli ha fatto bella a suo tempo.+ Anche il tempo indefinito ha posto nel loro cuore,+ affinché il genere umano* non trovi mai l’opera che il [vero] Dio ha fatto dall’inizio* alla fine.+ 12 Ho conosciuto che per loro non c’è nulla di meglio che rallegrarsi e fare il bene durante la vita;+ 13 e anche che ogni uomo* mangi e in realtà beva e veda il bene per tutto il suo duro lavoro.+ È il dono di Dio.” Ecclessiaste 3:10- 13…Viene detto che Dio ha posto il tempo indefinito nel nostro cuore… Se ci pensi nessuno vive dandosi scadenze, diamo come per scontato che abbiamo un tempo illimitato per realizzarci, in un film si diceva che anche il semplice dirci “arrivederci” da per scontato che ci rivedremo di sicuro. La domanda è perchè se esiste un creatore ci crea con questa sensazione di eternità, quando la realtà è un’altra? Una forma di ingiustizia, o forse, forse, l’uomo non era stato creato per morire? Anche perchè quando siamo felici, la consapevolezza che quella felicità è destinata a finire (ed aihmè crescendo questa consapevolezza per lo meno in me è sempre più viva) genera una forte malinconia che non ti fa vivere a pieno il momento.
Non sarà forse che il nostro progetto iniziale prevedeva l’eternità ?(Da fisico lo puoi confermare, le cellule si riproducono in continuo e all’improvviso ricevono un comando, non si sa ancora da cosa e come che le porta a riprodursi sempre meno, semplice usura? Perchè le cellule dell’albero possono invece vivere secoli più dell’uomo. Qualcuno ha stabilito le scadenze? )E se il progetto di uomo eterno non fosse stato accantonato?
Da quanto ne so, mi sento di dire che l’idea di uomo come progetto eterno non e’ assolutamente evidente. Anzi, le evidenze mirano al contrario. E’ chiarissimo in biologia la ragione tecnica delle diverse longevita’ degli esseri viventi. Detto questo, mi ripeto: anche se avessimo piu’ tempo a disposizione, probabilmente lo occuperemmo con attivita’ piu’ lunghe, il che ci farebbe tornare daccapo.
Qual’e’ la ragione tecnica delle diverse longevità? Mi interessa conoscerla… E’ per creare un equilibrio? Interessante l’idea di passare il tempo in imprese più lunghe … Risponde ad una domanda che mi facevo spesso… “Se avessimo più tempo da vivere ci annoieremmo?” Non avevo pensato a questo aspetto!