Non ce la faccio a stare zitto

Da un bel po’ di tempo mi domando se in questo blog c’e’ davvero posto per qualche considerazione politica. Finora ho fatto voto di escluderla dai temi trattati qua dentro, anche se devo confessare che io di politica discuto tutto il giorno su altri canali. Dopo quello che e’ successo ieri, pero’, voglio fare un’eccezione. Non scrivero’ un pippone sulla rava e la fava, ma voglio solo segnalarvi la mia risposta ad un post di Giuseppe Civati, questa. Per cortesia, leggete prima il suo post. Diciamo che oggi mi sento di fare coming out, perche’ ci sono cose – anche e soprattutto per un emigrato – che non possono passare sotto silenzio. Ma vale solo per questo post e per i suoi eventuali commenti. Negli altri post tornero’ a descrivere le mie fughe cerebrali lontano dal pensiero comune e purtuttavia vicine alla realta’, promesso.

4 pensieri su “Non ce la faccio a stare zitto

  1. A domanda rispondo. ;)
    (Ho provato a risponderti sul blog di civati ma ha grippato tre volte e mi sono rotto)

    Non entro più di tanto nel dettaglio delle questioni che poni nel commento, perché di economia capisco poco e non voglio essere l’ennesimo cialtrone che vaneggia su cosa di cui non sa nulla (da studente di medicina, mollo quotidianamente bestemmie da far impallidire don zauker quando leggo persone che di medicina non sanno un bel nulla sparare castronerie belluine con una sicumera che Giovanardi in confronto è umile e conciliante). Quello che mi preme commentare (su tuo spunto) è il problema politico che sta a monte. Intendo deliberatamente tralasciare le questioni legate al consociativismo, al malaffare, alla spartizione del potere e delle sue prebende. Non perché non mi accorga che esistono anche a sinistra, ma perché secondo me il problema è ab ovo.

    La situazione attuale e le attuali posizioni del centrosinistra (o come lo vuoi chiamare) in materia economica (ma non solo, è un fatto generale) derivano secondo da alcune situazioni che si sono venute a creare con la seconda repubblica, per darci delle coordinate temporali.

    Il quadro politico attuale ha le sue origini, per una sfortunata congiuntura astrale, in un momento di crisi politica, morale ed economica senza precedenti nella breve storia della repubblica, il periodo tra la cauduta del muro e tangentopoli. L’italia è politicamente allo sbando, la classe politica di centro e buona parte della destra e della sinistra sono travolte dalle indagini che hanno svelato la cleptocrazia degli anni ’80. Ne escono (quasi) indenni solamente MSI e PCI. Il primo è totalmente incapace di essere una forza di riferimento per il Paese (il suo gruppo dirigente ha come punta di diamante Gianfranco Fini, direi che non c’è altro da aggiungere). Il secondo, che poi è quello che ci interessa qui, vive in una profondissima crisi di identità. Caduto il muro, sente il bisogno di liberarsi dal marchio del comunismo e di rifondare le sue basi ideologiche su un terreno che sia più adatto alla contemporaneità. Qua, secondo me, nascono i due problemi principali che ancora oggi si trascinano nel campo della sinistra e del centrosinistra. Da un lato, a mio modestissimo parere, in un campo fondamentale come quello dell’economia, la sinistra italiana negli ultimi vent’anni non ha prodotto a livello politico un solo pensatore degno di questo nome. Ce ne sono diversi a livello accademico, credo, ma sono sostanzialmente estranei all’agone politico a causa del secondo problema. La paura del comunismo e l’avversione viscerale ad esso che albergano nella mente della maggior parte degli italiani hanno prodotto un meccanismo di difesa nella sinistra italiana che molto si avvicina a ciò che in campo psicodinamico chiameremmo formazione reattiva. La sinistra italiana è da vent’anni divisa in post-marxismo e vetero-marxismo (nei suoi vari rivoli più o meno velleitari) da un lato, e la cosiddetta “sinistra di governo” dall’altro. La prima, come detto, la considero (senza giudizio morale) elettoralmente irrilevante e spesso velleitaria, ancorata a quella che chiamiamo generalmente “testimonianza”. L’altra ha il merito di voler essere forza di governo, di non volersi limitare all’opposizione permanente e di rischiare una certa dose di compromesso per ottenere per quanto possibile il bene delle classi meno abbienti, che sarebbero la sua base sociale di riferimento.
    Questa sinistra di governo, però, è totalmente terrorizzata dall’anticomunismo, che ha di fatto introiettato. Vive nella paura di spaventare e perdere il consenso del mitico mondo dei moderati, una fascia di elettorato che se davvero esiste per come loro la descrivono, a casa mia si chiama destra. Per questi essere forza di governo non vuol dire provare a costruire una visione di politica economica e sociale alternativa al comunismo e al liberismo che possa attrarre trasversalmente l’elettorato più sensibile e al contempo dare una risposta alle istanze del loro blocco sociale di riferimento. No. Per loro l’unica possibilità è quella di sposare in buona sostanza una versione annacquata delle posizioni confindustriali, che tanto il popolo li seguirà e qualcosa di buono l’otterranno lo stesso, una volta preso il potere. Siccome queste posizioni non sono sufficienti (perché le robe annacquate non piacciono né a tutti gli elettori di sinistra, né a quelli di destra che gradiscono molto di più l’originale), allora provano a spostarsi ulteriormente al centro con la fusione con i lib-dem, che è quello che abbiamo oggi, e in pratica delegano a loro il pensiero economico della coalizione (o del partito). Infatti oggi la politica economica del PD la fa Enrico Letta, e il meglio che ha l’ala “a sinistra” in campo economico sarebbe Fassina. Nel frattempo, gli intellettuali e gli accademici in campo economico che sono di sinistra, o si allineano a questa logica, o semplicemente non sono considerati.

    Quindi in pratica la sinistra non ha una posizione alternativa alle politiche liberiste perché di fatto sono vent’anni che si è arresa all’idea che non ha senso pensarci, che tanto l’agognato voto moderato lo possono avere solo così. Svanita la critica al liberismo, la sinistra si relega alla mera gestione dell’esistente. Solo che non è questo il suo compito, la gestione dell’esistente la farà sempre meglio qualcun altro, agli occhi di un certo elettorato. E la farà sempre a spese di quella fascia sociale a cui la sinistra pretende di rivolgersi in particolare.

    Come se ne esce? Bisogna che la sinistra compia finalmente la transizione che avrebbe dovuto fare vent’anni fa. Bisogna che recuperi una sua dimensione alternativa al post-comunismo e al liberismo.

    Forse, ora che siamo totalmente allo sfascio, potrebbe essere il momento giusto, visto che non abbiamo nulla da perdere.

    Non so se ti ho in parte risposto. Ho buttato giù queste cose di getto, anche se sono cose che penso da un po’, quindi forse è un po’ confuso, dammi un feedback e in caso mi spiego meglio con più calma, o ampliamo il discorso.

    • Franz, risposta perfetta, bravo. Esattamente quello che dico io, e pure sull’esegesi sono d’accordo. Aggiungo solo una cosa, economica solo di facciata ma in realta’ molto politica. Per la sinistra l’avvento del progetto dell’Eurozona – nato per non far pagare solo alla Germania Ovest il costo della ricostruzione della Germania Est e dell’Europa dell’Est in generale – e’ diventato il sogno che ha sostituito il sogno comunista. Questo ha contribuito enormemente alla resa della sinistra alle posizioni liberiste, perche’ l’Eurozona (e non l’UE, che con l’Eurozona c’entra poco) ha degli effetti sull’economia che sono contrari all’interesse della maggiorparte della popolazione. Questa non e’ un’opinione politica, e’ un fatto scritto in tutti i testi di economia fin dagli anni ’50. Tanti non lo hanno voluto e non lo vogliono ancora vedere perche’ preferiscono continuare a sognare un mondo ideale migliore – vedi le esilaranti dichiarazioni di Boccia in tv. Questo sogno ha poi permesso di elevare a padri fondatori della nuova sinistra tutta una serie di personaggi che non solo non sono di sinistra (Prodi e Ciampi su tutti), ma non sono nemmeno portatori di idee democratiche. E la soluzione di tutto questo e’ ben lontana, se l’ala piu’ nuova e possibilmente non inquinata da ideologie di destra liberista (Renzi anyone?), di cui Civati credo sia un buon rappresentante, ancora ritiene Prodi un buon candidato alla Presidenza della Repubblica. La transizione di cui parli si fa solo col capitale umano, cioe’ sgobbando in prima persona e cercando delle persone intellettualmente coi controcoglioni, che sappiano parlare con competenza di temi ormai dimenticati. E’ l’unica via d’uscita, e mi spiace ma non l’ha capita quasi nessuno. Nemmeno Civati o altre nuove leve del PD, a quanto mi e’ dato vedere. Tanti stanno ancora li’ a guardarsi i lacci delle scarpe.

      Personalmente, io non credo ci sia speranza per il PD. Ormai e’ troppo tardi e l’infezione e’ troppo estesa. E’ ora di un soggetto politico nuovo. Il rischio e’ grande, perche’ probabilmente si imbarcheranno persone che continueranno a guardarsi i lacci delle scarpe, ma di fronte al baratro vale la pena correrlo.

  2. In questo momento Civati è forse l’unico elemento del PD che salverei, anche perché è in assoluto quello a cui sono politicamente più vicino. Si potrebbe pensare che io sia influenzato dalle ultimi vicissitudini del PD, ma in realtà sono cose che penso veramente da anni e di cui nel mio piccolo ho sempre parlato dentro al partito, chi ha avuto voglia di ascoltarmi lo sa benissimo, come la penso. Cose che, anche alla luce della condotta scellerata e suicida degli ultimi 15 mesi, mi fanno essere estremamente poco fiducioso sul futuro del PD. In pratica andrebbe rifondato a partire da un ricambio non solo della sua classe dirigente, ma di 3/4 dei suoi quadri intermedi. Credo sia davvero poco probabile che questo avvenga “pacificamente”.

    Nell’iniziativa e nelle parole di Barca ho visto uno spunto che va nella direzione giusta, dal punto di vista del superamento di questa eterna fase adolescenziale della sinistra italiana. Il suo avvicinamento a SEL (un partito con mille contraddizioni, ma che di certo non è poco critico verso le politiche economiche dell’eurozona) degli ultimi giorni e il loro progetto di una nuova costituente della sinistra sono una prospettiva interessante. Ma capisco la prudenza di tanti, perché è anche la mia. Il PD è allo sfascio, mi pare evidente. Probabilmente tentare di rianimarlo è accanirsi inutilmente. Ma c’è un ma bello grosso. La politica odierna è molto diversa da quella degli anni ’60, dove un grande partito di opposizione riusciva comunque, grazie al lavoro parlamentare e a moral e social suasion, a determinare l’introduzione di alcune politiche di tipo progressista. Oggi chi sta all’opposizione di fatto non combina nulla, è l’allontanamento sempre più netto da un’architettura di tipo parlamentare a una di tipo presidenzialista non lasciano presagire nulla di buono per il futuro. Tutto questo per dire che io, che non sono certo uno che la pensa come d’alema riguardo a come si conquista l’elettorato “non nostro”, sono preoccupato che una nuova formazione di sinistra sia destinata anch’essa alla testimonianza. Questo non esclude nulla di quanto detto sopra, ma la preoccupazione c’è e non si può negarla, e secondo me determina anche l’incertezza di questo periodo. Civati non è un economista, è più un politologo come formazione. Se hai mai letto le sue cose, in realtà il tipo di politiche che propone lui delineano una forte discontinuità con quelle portate avanti fin’ora e sono di sicuro più simili a quanto detto sopra. Credo, però, che anche lui viva la preoccupazione che ti ho appena espresso. E non è un fatto di poltrone o sete di potere. Le poltrone e il sottogoverno si ottengono benissimo anche dall’opposizione, e fare l’opposizione è anche abbastanza comodo. Cercare di essere forza di governo (di nuovo, non in maniera dalemiana) è invece una fatica pazzesca, un lavoro immane.

    In ogni caso, vista la situazione, se c’è una speranza di rinascita, ci vorranno anni per metterla in piedi seriamente (anche perché abbiamo perso ogni credibilità, e anche perché abbiamo totalmente diseducato il nostro stesso zoccolo duro di elettorato, ma qua aprirei una pagina lunghissima). Anni in cui saremo, temo, condannati all’opposizione. Io lo dico ormai da 5-6 anni. Se serve e se stavolta è la volta buona, per me si può fare. Vedremo.

  3. Ah, sì, un paio di aggiunte che nella fretta ho scordato.
    1) verissimo quello che dici sul mito dell’Europa che è diventata l’unico elemento di epos della narrazione politica del centrosinistra. Però ho scritto Europa e non Eurozona perché secondo me è possibile (è necessario, anzi) declinarlo in un altra maniera. Dubito fortemente che l’Europa che aveva in mente Spinelli (a cui si richiamano sempre tutti) fosse quella della Banca Centrale Europea. Secondo me è ora di ripensare anche l’Europa. Anche perché l’euro-scetticismo sta diventando sempre di più euro-ostilità. E questa non è una cosa buona. Secondo me l’euro-ostilità (almeno in Italia) è dovuta precisamente alle politiche economiche di cui sopra e alla diseducazione dell’elettorato. Se non diamo un’idea diversa di un’Europa possibile (e ancora sottolineo europa e non eurozona), lasciamo che siano la Lega e il PDL a farsi da cassa di risonanza di quei sentimenti. Mentre invece secondo me la situazione attuale offre opportunità.

    2) Anche dal punto di vista sociale vedo non solo drammi, ma anche opportunità. Mai come ora il liberismo mostra le sue contraddizioni. Mai come ora, “grazie” al divario tra il famoso 1% e il 99% e “grazie” alle politiche del welfare neoliberiste, al distanza tra i blocchi sociali è di fatto ridotta. Molti neanche se ne rendono conto, ma mai come ora colletti blu e colletti bianchi sono sulla stessa barca.

    Quindi forse è possibile che una politica che parli davvero ai problemi degli italiani (non alla loro pancia, ai loro problemi) possa essere ascoltata pur provenendo da sinistra.

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