Leggere controcorrente

Per il mio compleanno alcuni cari amici mi hanno fatto dono di un buono Amazon, da spendere come piu’ mi aggrada. E’ stata davvero una bella mossa: sia per loro, che non hanno dovuto scervellarsi piu’ di tanto a scegliere un regalo specifico (che cazzo vorra’ mai un 31enne? e’ una domanda alla quale nessuna risposta soddisfacente e’ data, da secoli), sia per me, che ho potuto togliermi qualche sfizio poco confessabile. No, non ho comprato falli di plastica conici e alti un metro. Ho comprato un libro. Uno di quei libri che e’ nella tua lista da anni, e che ti sfida fin dal titolo. Uno di quelli di cui hai sentito spesso parlare, che tratta di un argomento che avresti sempre voluto approfondire, al cui pensiero sfoderi un sacco di condizionali passati. Insomma, un mattone gigante il cui desiderio non confesserai mai, semplicemente perche’ il suo tema e’ molto distante da qualsiasi conversazione tu possa avere con amici e colleghi. Ho preso “Contro il metodo” di Paul Feyerabend, e lo sto leggendo da alcuni giorni, ogni sera.

“Contro il metodo” dichiara fin dalla prefazione, anzi fin dal titolo, di voler sparare a palle incatenate contro la routine del metodo scientifico. Wikipedia mi informa che e’ stato aspramente criticato all’inizio, ma che poi e’ diventato un successo planetario. Ora, io non voglio entrare nel merito di quanto Feyerabend dice – anche perche’ non l’ho ancora finito, figurarsi se l’ho digerito. Al contrario, voglio focalizzarmi sulla mia personale esperienza di lettura di un tale libro. Perche’ alla fine io, da fisico, il metodo scientifico lo uso tutti i giorni, anzi lo propagando a destra e a sinistra come un modo valido di conoscere perche’ ho provato sulla mia pelle la sua potenza. E leggere un libro che ti dice, con lo stile diretto che ha reso famoso Feyerabend, che e’ l’anarchia a spingere la conoscenza, e non la codifica di un metodo, e’ sorprendentemente difficile. Non esagero quando dico che e’ il libro di piu’ difficile lettura che abbia mai incontrato in vita mia. Il motivo non e’ legato allo stile o alla pesantezza del contenuto – mica e’ l’Ulisse di Joyce – ma all’atteggiamento del lettore. Come si puo’ leggere un libro verso cui hai pregiudizi?

Il libro un pelo ti aiuta nella sua forma. E’ fatto da capitoletti lunghi meno di dieci-quindici pagine, come se Feyerabend volesse che lo prendessi a piccole dosi, un po’ alla volta. Tuttavia, e’ un libro che richiede una non trascurabile dose di concentrazione. Non e’ facile, e’ scritto piccolo, denso, ogni parola va digerita a lungo. E’ un libro per erbivori della filosofia della scienza. La cosa sorprendente e’ che io non riesco a stare concentrato come mi capita su altri libri. E’ il libro stesso a sviarti, perche’ ad ogni paragrafo i miei pensieri partono per la tangente, e sono tutti tesi a confutare l’idea o l’avvenimento storico in seno alla scienza che ho appena letto. Ho come una smania di farlo, mi suona davvero tutto storto. E’ pure frustrante, per uno che si vanta della propria capacita’ di concentrazione. Come si fa ad andare attraverso le 250 pagine con tutto sto casino in testa? Suona come una sfida per me, e’ forse un effetto della sua dichiarazione iniziale cosi’ tempestiva. Lo leggi come se stessi nuotando controcorrente in un fiume: ad ogni capitoletto il libro cerca di tirarti su, e tu senti tutta l’acqua, la familiare acqua che e’ il tuo elemento, e che e’ allegoria dei tuoi pensieri, venirti incontro e spingerti nella direzione opposta. E dopo un po’ non capisci piu’ niente a causa del gorgoglio che ti appanna la vista e ti impedisce i movimenti, mentre senti che il libro ti da’ un altro strattone verso la sorgente. Senza contare poi che gia’ solo il fatto di leggere qualcosa che chiaramente vuole andare contro quello che tu ritieni un modo giusto di procedere e’ una sorta di violenza. E’ come se tu fossi un professore di liceo e dovresti leggere il tema di un tuo alunno che spara un mare di cazzate. Oddio, magari questo e’ una mancanza di rispetto per Feyerabend, la cui profondita’ di pensiero davvero non si merita di essere associata ad un alunno scapestrato delle scuole superiori – e neppure la mia a quella di un maestro dell’argomento, sia chiaro. Pero’ penso che la situazione sia simile, e devi andare avanti a “correggere”, o quantomeno a capire quello che c’e’ scritto, vuoi per dovere o vuoi per rispetto nei suoi confronti.

Ci sono poi alcune cose che mi hanno dato davvero fastidio, come ad esempio il discorso della consistenza della nuova teoria con quelle precedenti, la cosiddetta condizione di coerenza. E’ uno dei suoi primi argomenti, a riprova del fatto che lo stile diretto di Feyerabend e’ davvero asciutto e va dritto al punto. Su questo gli ho dato ragione su tutta la linea, non bisogna essere consistenti con le teorie precedenti, ma con gli esperimenti precedenti, e bisogna pure valutare le barre d’errore di tali esperimenti per poter capire entro quale margine c’e’ spazio per una nuova teoria. Quello che mi ha dato davvero fastidio e’ che lui propagandi questo come un cardine del metodo scientifico che va rimosso. Ora, non sono certo un esperto di epistemologia della scienza quanto lui, ma da par mio ho sempre saputo che la scienza vuole quello che sostengo io e che sostiene lui, non quello che lui cerca di confutare. Questo aspetto del procedimento scientifico l’ho trovato in cento posti diversi, dalle lezioni di Feynman alle reminescenze di Popper che ho dalle superiori. Eppure lui dice, e con dotte citazioni come quella di Newton, che il metodo scientifico prevede la consistenza delle teorie e non degli esperimenti. Non e’ un po’ strano tutto cio’? Suona come una bestemmia per me, dire che il metodo di cui tu in prima persona ne testi l’efficacia ogni giorno codifichi un processo d’indagine diverso da quello che tu hai sempre creduto. Anche questo aspetto e’ suonato come un piccolo oltraggio, che certo non ha aiutato nella facilita’ di lettura. E giu’ di pensieri su cosa tu hai imparato dai libri, su cosa ti e’ stato insegnato e su cosa davvero e’ il metodo da un punto di vista storico.

Come ho gia’ detto, non ho ancora finito il libro. Al netto di tutte queste difficolta’, che – credetemi – sono davvero sorprendenti, non e’ ancora subentrata in me l’inerzia di lettura, cioe’ l’equivalente letterario del muro dei 30 km nella maratona. E’ il momento in cui continui a leggere un libro solo per poter dire di averlo finito, in cui i tuoi occhi vanno avanti col pilota automatico e la porta d’accesso al tuo cervello si e’ gia’ chiusa da un pezzo. Lo trovo ancora un libro interessante, se non altro per il fatto che ci sono ancora molte pagine. C’e’ una speranza non remota che il libro possa essere un crescendo, che cominci con l’artiglieria leggera e poi sfoderi i cannoni da 381, quelli che fanno davvero male ma che sei proprio contento che sparino (le corazzate sono una figata per ogni bambino proprio per questo). Inoltre, Feyerabend e’ davvero bravo nella sistematicita’ dell’analisi. In diversi momenti mi si sono formate nella mente delle obiezioni che ho trovato poi discusse poche pagine dopo. Una sorta di lettura della mente del lettore che provoca vivo piacere. Onore al suo merito, e un po’ anche al mio, per aver scelto un modo tutto particolare di celebrare il mio compleanno.

3 pensieri su “Leggere controcorrente

  1. Buon viaggio, torna da vincitore!!! Attendo la fine del libro e che te ne disi le tue considerazioni finali!!! Un abbraccio!!!!

  2. Non c’è niente di meglio di un libro che ti spara e ti colpisce, farsi violenza fa capire le proprie resistenze. (L’unica cosa davvero entusiasmante del mio corso di filosofia della scienza è stata l’anarchia epistemologica, viva Feyerabend)

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