Spesso nella mia vita mi ritrovo ad essere spettatore di esperienze altrui, o meglio, di vicende riguardanti altri. Dopo tanti anni ho ormai notato che alcuni amici tendono a confidarsi con me, e devo confessare che io li ascolto volentieri non solo per aiutarli, ma anche perche’ mi piace conoscere meglio le persone attraverso il giudizio di terzi. Cosi’, mi capita di assistere, popcorn alla mano, a creazioni e dissolvenze di amicizie, amori, litigi, conquiste. Stranamente tutto questa valanga di input mi tocca poco: sono meno empatico di quanto vorrei far credere, ma forse questo e’ un punto di forza quando il tuo ruolo e’ ascoltare e dare qualche consiglio. Tralascio la sensazione di estraneita’ al genere umano che ogni tanto mi pervade. Quello di cui invece vorrei parlare e’ di quanto spesso si sbagli nella creazione delle opinioni, e di quanto sia inquietante tutto cio’.
Non sono un buon giocatore di poker: non possiedo la proverbiale faccia e non riesco essere simulator ac dissimulator come Catilina. Cosi’ accade che a volte, mentre qualcuno si confida con me, questi si accorga che i miei pensieri stanno in realta’ divergendo. Alle volte cerco di cavarmela con un bluff, ma non sempre ci riesco. Il punto e’ che spesso, mentre il flusso confidenziale mi investe, se questo riguarda una terza persona non riesco a non chiedermi che cosa penserei io al suo posto. Cosi’ mi si creano due immagini nella testa della persona che mi sta davanti, quella formata dalle mie esperienze personali e quella creata dai fatti e avvenimenti capitati tra la persona confidente e l’oggetto della discussione. Spesso queste due collidono, e li’ nascono i casini. Perche’ quando sento dire “questa persona si comporta in questo modo con me”, non riesco a biasimarla. Anzi, il piu’ delle volte io mi comporterei nello stesso modo, viste le premesse. E’ una specie di problema della misura: pensando a quello che la terza persona vede, non trovo che la sua interpretazione sia in disaccordo con i fatti che le si presentano davanti. Anche pensando alla storia della loro relazione interpersonale, mi rendo conto che spesso c’e’ stato grande spazio per equivoci, e che un atteggiamento possa esser stato interpretato in due modi. E come si fa ad uscire da questo cul-de-sac?
Ho visto tanti casini emergere nella vita di terzi, che ormai credo non sia possibile creare un metodo per evitare tale immagini. Alla fine della confidenza, ho quasi sempre la presunzione di credere di aver capito gli equivoci che di volta in volta hanno portato a dei patatrac, ma preferisco sempre non vuotare il sacco. Alla fine gli equivoci sono sempre costruiti sull’incomprensione delle persone e sulla relativa incomunicabilita’. Molte persone confondono l’essenza di una persona con l’immagine di essa costruita nella propria mente. E questa illusione ottica e’ divergente, potenzialmente distruttiva, perche’ ha un effetto moltiplicatore. Le persone continuano a studiare l’immagine piu’ che la persona in se’, col risultato di generarne una nuova dall’interpretazione errata di altri avvenimenti. E’ come quando ci si ritrova in mezzo a due specchi, si vede l’immagine, poi accanto l’immagine dell’immagine, e poi piu’ in la’ l’immagine dell’immagine dell’immagine e cosi’ via. Ed ogni copia e’ piu’ distante dall’originale. Arrivati ad una certa distanza, c’e’ la rottura, inevitabile. L’unico modo per evitare questo effetto sarebbe tornare sui propri passi, e dubitare di se’ stessi. Quasi impossibile.
Ogni volta che mi accade di assistere a fenomeni del genere sono un po’ pervaso dalla paura, e mi metto sulla difensiva. Che succede se alla fine sono io quello che crede di aver capito, e che invece sta guardando l’ennesima immagine riflessa nella coppia di specchi? Alle volte penso a me stesso come un pomposo figlio di puttana che crede di sapere sempre tutto – o quantomeno molto piu’ degli altri. E alla fine la domanda “e se mi stessi sbagliando?” torna sempre fuori, e lascia l’amaro in bocca. E’ strano come questo dubbio si applichi anche a questo post, delle cui premesse ora mi vien da dubitare. Forse questa sensazione e’ l’unica che riesco a dissimulare con efficacia, quando qualcuno si confida con me. L’unico risultato e’ che tale sensazione mi impedisce di vuotare il sacco quando coloro che si confidano mi chiedono un’opinione finale. Ma magari non dovrei essere io a valutare l’efficienza nell’unica dissimulazione che mi riesce.