Qualche giorno fa un’amica mi ha fatto una domanda alla quale non credo di aver risposto con onesta’. Eravamo in macchina e si parlava di quando si va fuori insieme, con altra gente, quando a un certo punto mi fa: “ma tu ti accorgi delle ragazze che sentono un po’ di attrazione verso di te? No, perche’ io me ne accorgo da diverso tempo, vedo come ti guardano e ti parlano, e tu non fai mai niente.” Pur sapendo perfettamente di cosa parlasse, ho preferito glissare con un “anche se fosse – cosa del quale a volte dubito – non sono interessato io per primo, quindi amen”, magari cercando pure di darmi l’aria di quello che la sa lunga e che ottiene cio’ che vuole. Mettiamo le mani avanti: questo non sara’ un post strappalacrime in cui mi dichiarero’ segretamente scontento della situazione e blablabla. Ho invece intenzione di essere un po’ spietato. Perche’ poi, quando ci siamo lasciati, ho cominciato a pensare quanto io sia bravo a mimetizzarmi nelle situazioni che non sono le mie, di come cio’ sia sterilizzante nei rapporti interpersonali e di come questo sia cio’ che voglio.
Quel discorso ha evidenziato una consapevolezza dentro di me, io so come dovrei comportarmi per raggiungere questo o quell’obiettivo. L’ho capito guardando gli altri, ed analizzando sistematicamente gli avvenimenti altrui. Cosi’ mi ritrovo a utilizzare spesso questa conoscenza e il sapere immedesimarmi per parlare con cognizione di causa di situazioni in cui francamente mi sono trovato solo marginalmente, e per non sentirmi come un pesce fuor d’acqua negli ambienti piu’ diversi. Ho imparato a fare di tutto, andare nelle discoteche piu’ in, come comportarmi nei raduni dei bikers o in megaconcerti metal, quali conversazioni tenere con ricconi che ti invitano su uno yacht da 90 piedi o ad una festa in un edificio occupato da squatters. Mi sembra di riuscire a percepire il ruolo che mi viene richiesto di coprire dall’interlocutore e dall’ambiente, e di poterlo fare. Mi capita di andare a delle serate di giochi, e di saper tenere una conversazione su un gioco specifico o su esperienze legate all’ambiente al punto da non sembrare l’ultimo arrivato. O di poter parlare di cosa si fa la sera qui o li’, e di far credere all’interlocutore che di esperienza ne ho avuto abbastanza da farmi identificare non solo come degno di ascolto, ma come uno che autonomamente ricerca esperienze simili, uno spirito affine. Quando ascolto confidenze amorose, capisco subito se la persona che mi sta davanti ha bisogno di qualcuno che ripeta le sue ragioni per fortificarle (davvero l’ABC del comportamento amicale, questo) e quando c’e’ invece bisogno del parere spiazzante, di parole contro. Un mix di esperienze altrui, buone doti di improvvisazione e di osservazione, e un pizzico di incoscienza. Tanto basta per difenderti degnamente in ogni situazione.
Alle volte ho l’impressione che assumere un ruolo od un altro sia per me quasi un lavoro. Non riesco a farne a meno. Il brutto e’ che questa attitudine va ben oltre. Quando mi chiedono opinioni su come io affronto le cose, o come gestisco le mie relazioni personali piu’ intime, l’istinto di mimetizzarmi prende il sopravvento, e dico cose non vere su di me per il piacere di non mostrarmi, senza curarmi del fatto che magari potrei essere sgamato nel farlo. Parto in automatico. E poi guardandomi indietro scopro di aver spesso mentito alla domanda “ma ti piace davvero questa cosa?” e mi sono pure chiare le ragioni per cui l’ho fatto e continuo a farlo. E’ sicuramente il piacere di sapersi adattare, una sfida continua che si gioca sui piu’ disparati campi. Sapersi trasformare, passare per quello che non si e’ se non in minima parte, e pensare ancora una volta di avercela fatta. Essere spietati polimorfi e’ una croce e una delizia. Ma dietro c’e’ pure dell’altro. In generale non ho mai sentito il bisogno di mostrarmi agli altri per quello che sono, perche’ ormai ho sostituito agli altri quello stesso simulacro di me stesso che mostro ogni volta che parlo con loro. A forza di interpretare questo o quel ruolo, riesco a capire, a prevedere, a simulare cosa una persona amica mi direbbe se le confidassi i miei veri pensieri. La persona artificiale che tu diventi quando gli altri parlano prende vita anche quando tu parli con te stesso, e ti aiuta nello sbrogliare le matasse di pensieri. E’ questo il livello piu’ elevato dell’essere soli, e dello star bene da soli? Avere la sensazione che gli altri non abbiano nulla da dire di piu’ di quanto tu possa immaginare da solo, essere schiavi della propria esperienza ed attitudine a tal punto da trovare il resto, quello che gli altri ti possono dare, insipido e scialbo.
Tutto questo getta ombre davvero scure sulle mie opinioni condivise con altri, e paradossalmente anche su quelle degli altri che mi sono state confidate. Cosa accadrebbe se, chi piu’ e chi meno, ogni persona sia capace ad un certo punto di assumere un ruolo, e di difendere un’opinione solo perche’ tale ruolo impone di farlo e perche’ si gode nel farlo? In fondo, un mondo in cui tutti siamo molto meno sinceri di quanto diciamo di esserlo, o molto piu’ attori di quanto siamo pronti a confessare, non e’ un brutto mondo. A parte la simmetria che rende il tutto piu’ giusto ed etico, questo pensiero fa capire come agli uomini potrebbe non interessare davvero la verita’ e la trasparenza al 100%. Spesso ci si accontenta di star bene solo grazie alla forma delle cose. Poco importa se i pensieri che ci fanno godere dell’essere vivi sono generati dall’interazione con simulacri invece che da persone sincere. Davvero importa che la risposta data alla mia amica non sia stata sincera?