Sull’inadeguatezza

E’ interessante come a volte i libri che si leggono si adattino cosi’ bene ad un preciso momento della tua vita. Questa volta e’ capitato ad un libro per certi versi sorprendente, uno di quelli di cui a grandi linee sai gia’ la trama, ma che si fa amare per i dettagli. Il seguente citato e’ tratto da “Atomi in famiglia”, la biografia di Enrico Fermi scritta dalla moglie Laura quando lui era ancora in vita. Parla dell’inadeguatezza nei rapporti di coppia, e oggi e’ proprio li’ che voglio andare a parare. Avviso: il post sara’ bello lungo.

[…] Questo suo primo sproposito clamoroso avrebbe dovuto convincermi che l’infallibilita’ non e’ di questa terra. Ma Enrico esprimeva sempre opinioni cosi’ sensate, si atteneva a giudizi cosi’ razionali che lo ritenevo capace di esser mai dalla parte del torto. I fatti mi davano in genere ragione: Enrico aveva una straordinaria capacita’ di pensare prima di parlare, di pesar le parole, di non dire cose di cui non fosse piu’ che sicuro.
Di fronte a tanto equilibrio mentale, si sviluppo’ gradualmente in me un’esagerata consapevolezza della mia ignoranza, una ferma convinzione che le mie opinioni non avessero valore alcuno. Questo senso di inferiorita’ veniva ribadito una domenica dopo l’altra, quando andavamo a passeggiare con gli amici. Emilio Segre’, nato e cresciuto a Roma, aveva altri conoscenti e raramente si aggregava a noi. Ma Rasetti e Amaldi erano sempre disposti a fare una camminata. Quando Fermi e Rasetti insieme si trovavano in compagnia di ragazze, le tormentavano con l'”esame di cultura generale”. Cornelia se la cavava con una risata, come se le domande non fossero indirizzate a lei. Maria Fermi, giovane seria e tranquilla, dotata di una profonda cultura letteraria, rivolgeva agli esaminatori un sorriso vago e tollerante. Gina Castelnuovo, Ginestra e Io eravamo invece le vittime predestinate.
[…]
Fermi mostrava un’indubbia abilita’ a orientarsi e a risolvere problemi posti da lui stesso o da altri. Rasetti aveva una riserva illimitata di nozioni assortite: le regole monastiche dei Lama del Tibet; l’orario dei treni di tutta Europa; i nomi latini di tutte le piante e di tutti gli insetti che trovavamo per via; i cambi di tutte le monete straniere. Onniscienza e infallibilita’! I due ci facevano diventar matte.
[…]
Del complesso di inferiorita’ acquistato in cosi’ colta compagnia guarii improvvisamente pochi anni dopo. Un’estate, mentre Enrico era in viaggio in America, passai qualche giorno sulle Alpi, a Gressoney, con mia sorella Paola, col marito Piero Franchetti, e con un gruppo di loro amici. […] Con mia grande sorpresa mi accorsi che con tutta questa gente parlavo da pari a pari, e, soprattutto, che essi mi facevano domande e ascoltavano le mie risposte con apparente attenzione. Nessuno ridacchiava o si faceva burla di me quando aprivo bocca.
Qualche anno dopo completai la mia rivolta contro i tiranni dell’intelletto e venni alla conclusione che la sicurezza di se’ non e’ necessariamente indizio di sapere. Era il 1940, e ci eravamo stabiliti negli Stati Uniti. Rasetti venne a trovarci, e insieme andammo a Washington in automobile per un congresso di fisica. A circa meta’ strada fra New York e Washington, Enrico, che coglieva tutte le occasioni per sfoggiare davanti a me la sua piu’ profonda conoscenza dell’America, mi disse:
– Stiamo attraversando la linea Mason-Dixon.
– E che e’ questa linea? – chiesi.
– Pazzesco, non sa nemmeno che… – comincio’ Rasetti.
– La linea Mason-Dixon e’ quella che divide il Nord dal Sud degli Stati Uniti – mi spiego’ Enrico.
– Ma che sorta di linea e’? Immaginaria? una linea fatta da chi o da che cosa?
– E fatta da due fiumi, il Mason e il Dixon – rispose con gran sicurezza Rasetti.
– Macche’ fiumi! Ti sbagli della grossa! Mason e Dixon erano due senatori americani, uno del Nord e uno del Sud.
Scommisero un dollaro. Charles Mason e Jeremiah Dixon erano due astronomi inglesi. Ma Fermi volle il dollaro “perche’ gli astronomi inglesi potrebbero anche diventare senatori negli Stati Uniti, mentre due fiumi… mai”.
E cosi’ fini’ il mito dell’onniscienza di Rasetti e dell’infallibilita’ di Fermi.

Ecco il tema: la nascita e l’evoluzione dell’amore in due persone cosi’ diverse. Il libro e’ un meraviglioso esempio di due persone che hanno condiviso una vita insieme. Laura Fermi, piu’ giovane di suo marito di sei anni e all’epoca del secondo e decisivo incontro studentessa diciannovenne di scienze naturali quando Fermi gia’ insegnava all’universita’ (a 25 anni!), ha davvero vissuto quel complesso d’inferiorita’ che ti fa dire “ma io che c’entro con uno cosi’? come posso piacergli? cosa ci trova uno come lui in una come me?” Una situazione davvero difficile, contando anche il fatto che – secondo quanto lei stessa riferisce – Enrico Fermi sapeva veramente e naturalmente essere una pigna in culo. Per dire, la prima scena della biografia si conclude con la seguente, perentoria frase: “Fu il primo pomeriggio che passai con Enrico Fermi, e l’unica volta in cui riuscii meglio di lui”. Eppure improvvisamente questo senso di inadeguatezza sparisce quando si rende conto che non e’ infallibile, che e’ umano come tutti e reagisce agli sbagli come tutti. E paradossalmente lei se ne innamora ancor di piu’, dimostrando in seguito di saper fare un sacco di cose e di non essere da meno, a modo suo. Scrivera’ un libro divulgativo di fisica assieme a Ginestra Amaldi, “Alchimia del tempo nostro”, spronata dallo stesso marito. Sara’ perfetta compagna alla cerimonia del Nobel nel 1938, e racconta di come danzo’ col principe Gustavo Adolfo. Sapra’ farsi valere come moglie e come madre quando abbandonarono l’Italia per gli Stati Uniti a causa delle leggi razziali, soprattutto nel periodo in cui Fermi era implicato nel Progetto Manhattan e si dovettero spostare prima a Chicago e poi al Sito Y. Insomma, anche se non detto alla fine si capisce perche’ Enrico Fermi l’ha presa in moglie. Ciononostante non conosciamo davvero la sua versione, o meglio, i pensieri che scorrono nella mente di colui che e’ dall’altra parte. Non se ne parla mai, eppure e’ un problema simmetrico. Quindi e’ ora di fare coming out, lasciando da parte le ipocrisie.

Lungi da me paragonarmi come modi e abilita’ a Enrico Fermi, ma io mi trovo sempre dall’altra parte, la sua parte. E quando dico sempre, intendo proprio da quando ho memoria. Ho imparato da solo a leggere, a scrivere e a far di conto a due anni e mezzo, e da quel momento in poi sono stato bombardato da frasi tipo “ma quanto sei intelligente” o “sei davvero piu’ bravo degli altri”. Tutta la vita cosi’, con l’ovvio riflesso che per trent’anni ho dovuto avere a che fare con persone che non perdevano occasione di sminuirsi nei miei confronti, di mostrare soggezione. Succedeva quando ero bambino, quando non mi impegnavo mai e sapevo poesie a memoria, o studiavo monomi e polinomi da solo mentre gli altri erano fermi alle parentesi graffe. Succedeva da adolescente, quando ho imparato cosa mi interessava davvero, dall’astronomia cominciata a 10 anni alla musica, e fanculo il resto. Succedeva da 20enne, quando per l’esame piu’ duro che ricordi a fisica ho studiato per “ben” 9 giorni, e passavo il resto del tempo a fare mille altre cose. E succede pure adesso. Intendiamoci, io so di essere bravo – o quantomeno sopra la media – in quasi qualunque cosa io faccia, e non su scala rionale, ma su scala continentale. Anche nei miei anni all’estero, stessa identica cosa, non voglio mica nascondermi dietro un dito. E non sarebbe nemmeno onesto sminuire la cosa per sembrare umile. Pero’ quella in cui vivo io e’ una psicologia di cui non si parla mai. Nessuno sa cosa significa essere preso d’esempio continuamente e per tutta la vita, anche nei momenti in cui non vorresti proprio, e anzi vorresti scomparire dietro il bavero della giacca e dire sottovoce che in fondo le sensazioni che provi non possono essere troppo diverse da quelle degli altri, e che anzi sotto sotto i bisogni che hai non sono cosi’ distanti da quelli che vicino a te si sentono in un modo o nell’altro inadeguati. Allora, stretto tra la lettura di questo libro e una vicenda personale e dolorosa che non vi raccontero’, vi svelero’ un piccolo tassello del mosaico, vi diro’ come la vedo io quando sento di essere attratto da una persona che a prima vista non puo’ pareggiarmi.

Il fulcro di tutto non e’ il risultato, ma l’atteggiamento. A me non interessa confrontarmi sulla scala assoluta, e non perche’ nel 98% dei casi a conti fatti vinco io. Quelli dall’altra parte della barricata, quelli per cui la domanda “ma io che c’entro con uno cosi’?” e’ rivolta sapendo che, se tra i due c’e’ una certa distanza, sei tu quello davanti, ecco quelli aspettano solo qualcuno che non abbia paura di trascinare e farsi trascinare altrove. Davvero, non importa a colui che sa fare se l’altro non sa fare. Quello che conta e’ capire se l’altro imparera’ a fare, e si liberera’ dei suoi blocchi anche grazie alla tua vicinanza. Poco importa se, come nel caso di Fermi, uno scopre le reazioni nucleari tramite neutroni lenti e l’altra scrive solo un libretto divulgativo. Poco importa se uno e’ gia’ esperto in tante cose e l’altro e’ alle prime armi. Chissenefrega se a uno riesce le cose in tempo zero e ha una forma mentis calma ed efficace, e l’altro ha bisogno di eoni e scleri per ricavare o anche solo pensare a qualcosa di dignitoso e ordinato. Perche’ alla fine chi come me sta spesso davanti non aspetta altro che concentrarsi su qualcuno, e dimenticarsi del fatto che la societa’, gli amici, i conoscenti, tutto il mondo fuori guarda te come esempio da seguire, come modello e come ispirazione, pur non capendo una mazza delle sensazioni che ci stanno dietro. Il mondo e’ davvero sintonizzato in modo da far sembrare normale colui che sta dietro a prescindere, e cosi’ ti capita di dover combattere una battaglia extra se stai davanti. Per una volta, si vorrebbe davvero barattare il ruolo d’esempio per poter vuotare il sacco liberamente, per poter crescere assieme al partner nell’unico aspetto che senti mancare dentro di te, il confronto al netto dell’ipocrisia, e scoprire alla fine di essere uniti non dai risultati raggiunti e dal loro equiparamento, ma dallo sforzo fatto insieme e dalla gioia del successo altrui. Una sorta di dimensione extra, unico luogo della vera unione tra due persone e nella quale le distanze stabilite dalla vita nelle dimensioni ortogonali non hanno poi cosi’ importanza. A un giocatore forte non interessa avere vicino qualcuno che sappia giocare forte quanto lui, ma che voglia imparare le regole, che si interessi di quando l’altro gioca forte e che abbia voglia di provare giochi nuovi, insieme. E ci son sempre giochi nuovi da provare.

Alle volte mi chiedo come mai questo sia cosi’ difficile da capire per chi si sente inadeguato verso il basso. Forse che questi pensieri, che davvero non riesco a credere non si materializzino nelle menti degli altri, vengono sormontati dalla differenza che c’e’ tra due persone? Sara’ la fatica che tutto cio’ comporta? Sara’ la paura? In fondo l’atteggiamento di cui parlo e’ anche e soprattutto un atteggiamento di coraggio. Ci vuole forza e sicurezza per non farsi prendere dal sentimento di inadeguatezza. E spesse volte accade che quelle poche persone di cui io intuisco la forza non ne siano veramente consce. E’ una cosa che mi manda in bestia e allo stesso tempo mi fa sciogliere, come cogliere un fiore non cresciuto abbastanza. Alla fine, il coraggio che serve per sconfiggere la sensazione di inadeguatezza e’ duplice: bisogna essere audaci nel non curarsi della distanza, ma cercare la dimensione ortogonale pur sapendo delle vertigini, e bisogna avere il coraggio di guardare dentro se’ stessi e capire di avere abbastanza forza dentro. Laura Fermi era una donna forte, e sono sicuro che suo marito sapesse il perche’ il loro amore ha saputo sconfiggere l’inadeguatezza al prim’ordine che c’era tra loro.

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5 pensieri su “Sull’inadeguatezza

  1. è un trattenere. Non dire quanto ti appassioni quella cosa, quanto vorresti parlarne per ore fino in fondo. Non ho bisogno di guardarmi allo specchio per sapere che mi brillano gli occhi, arraffo post it per fermare i pensieri e l’entusiasmo che mi sento addosso è un fuoco. E giuro che non vorrei tenere le cose per me, ma l’incontro mi distrugge e me ne accorgo in un preciso istante, quando incrocio quello sguardo inerme che mi vuol dire “smettila, non capisco, io non sono intelligente come te” e allora mi butto sul chiacchiericcio, se lo sguardo è quello di amiche care. Però sono sempre io a rinunciare, vorrei un confronto a denti stretti e mi ritrovo uno sguardo muto che galleggia tra il vittimismo e il disprezzo. Mi sento dire o sussurrare che io non posso avere paura perché vado sempre bene, che è addirittura ingiusto che io sia preoccupata perché io sono intelligente. Mi si rinfaccia l’intelligenza come una colpa. E come dire che l’affetto non è un calcolare chi ragiona meglio? Che non si tratta di misurare abilità, che le relazioni sono approfondimento, non confronto? Come parlarne senza sembrare quella che ha già capito tutto prima e meglio?

  2. Qui le strade sono due. O stai con chi a volte puo’ farti sentire dall’altra parte, o stai con chi ti impegna a fare cose nuove a tal punto che la differenza perde di significato. Una volta fatto questo, non ti fara’ piu’ male dissimulare il fatto che hai capito prima e meglio. E’ difficile, ma senza dubbio possibile.

  3. Credo che se tu fossi stato una donna sarebbe stato molto peggio… Le donne in genere vogliono accanto un uomo superiore, onniscente, che le sappia guidare, che ricordi la figura paterna, e che incarni l’immagine ideale del futuro capofamiglia, padre… . Per lo meno certe donne, ovvio non tutte di questi tempi. A me personalmente la saggezza altrui non da fastidio, l’importante è che mi si dia la possibilità di esprimermi e se dovessi sbagliare fare insieme una grande risata… ecco penso che si può riuscire a far vincere il senso di inadeguatezza alla persona che ci sta accanto con l’ironia, e Fermi l’ha dimostrata dal racconto che hai postato… e forse questo ha fatto sì che lei se ne innamorasse e mettesse da parte ogni riserva. Il punto di incontro tra saggezza e inadeguatezza non potrebbe essere l’ironia? Ovviemente quella affettuosa, non saccente..o l’ironia a tutti i costi, e poi deve essere fatta ad hoc per la persona che si ha davanti, flessibile perchè deve essere compresa. Insomma l’ironia è un’arte… voi uomini se vi allenate, con una buona dose di intelligenza emotiva potete usarla con successo. Per noi donne cambia tutto, se lui ti sente superiore, non c’è ironia, bellezza interiore, esteriore, zerbinaggio che tenga… la donna deve essere conducibile, come un auto senza cambio automatico, bellissima fuori, senza danni al motore.

  4. Pingback: Ricordi di una vecchia storia | Brain on the run

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