Il tempo delle cose

L’altra sera ero a bere qualche gin tonic con due mie amiche con cui condivido la stessa situazione di vita. Tra una chiacchiera e l’altra siam caduti su un discorso che ho fatto molte volte con tanta gente, soprattutto emigrata: la comprensione di uno stile di vita diverso da parte di chi non lo ha mai sperimentato. Tutto e’ cominciato quando abbiamo cominciato a parlare dei nostri genitori, e di come a volte non capiscano qual e’ il modo migliore per supportarci nelle nostre difficolta’, avendo loro uno stile di vita e una scala di valori molto diversi. Ci siamo un po’ guardati attorno e dentro noi stessi, e abbiamo visto dei (o delle) trentenni ancora vogliosi di andare in giro per il mondo e fare esperienze che sono normalmente precluse a chi non viaggia, a chi non emigra, a chi non cambia il paradigma della propria vita ogni tot anni. E da li’, una domanda e’ sorta quasi spontanea. Ma da che parte sta il tempo?

La mia risposta immediata e’ stata positiva. Si’, sta dalla nostra. Si’, il tempo per fare tante cose c’e’ sempre. Ci sara’ un tempo per sposarsi ed avere figli, ci sara’ il tempo per cambiare lavoro altre due o tre volte, magari citta’ o paese o continente, trovare nuovi amici, conservare o dimenticare i vecchi. Ho argomentato con un pezzo della mia storia personale, che gia’ da un po’ ho ben digerito. A me e’ stato di grande aiuto cominciare a suonare in giro relativamente presto, da adolescente. Osservando il pubblico ho scoperto un universo di gente che seguiva un paradigma di vita diverso da quello che vedevo nel circondario di casa mia. Parenti, amici di famiglia, vicini di casa, tantissimi con storie “ordinarie”: matrimonio e figli, mutuo e sacrifici, settimana al mare o in montagna, lavoro e casa. Invece ai concerti vedevo bikers 40enni che si erano appena trovati il partner e litigavano davanti a tutti, 50enni che seguivano le band a tutti i concerti e chissa’ se avevano una famiglia, tantissimi che facevano lavori stagionali e si spostavano qua e la’. Insomma, tutti con una vita completamente diversa, eppure percepita sorprendentemente come dignitosa e rispettabile. E li’ mi son detto che non esiste un modo di vivere canonico, non c’e’ un mainstream e qualche marginale rivolo di gente che fa una vita “strana”. Poi piu’ avanti negli anni mi son ritrovato a non esserci proprio nel mainstream, e quest’esperienza mi ha rafforzato nelle mie convinzioni, mi ha consolato, mi ha fatto pensare di non essere parte dei pochi. Perche’ essere parte dei pochi potrebbe significare che non hai fatto la scelta giusta, in omaggio al mai detto ma sempre sottinteso teorema che la scelta migliore e’ quella percorsa piu’ spesso. No, ho detto a me stesso mentre cercavo di convincere loro, non esiste una via principale.

Tornando a casa, pero’, son stato tormentato dal dubbio. Ma davvero una persona ha tutto il tempo di fare quel che gli pare? Voglio dire, volente o nolente un legame con le tue origini, o meglio con il modo di vivere del posto in cui vivi, ti rimane sempre. E per un po’ di anni vai avanti con questa bugia dicendo agli altri che si’, per un po’ di tempo starai via, ma poi tornerai, che i soldi che stai mettendo via sono per un mutuo futuro, per una casa da comprare, come se tu sapessi che chiunque deve tornare al modo originario di vivere. Che anche se deciderai di vivere in qualche altro paese, alla fine metterai sempre radici, ti fossilizzerai e metterai su famiglia, il paradigma di vita che i tuoi genitori ti hanno insegnato col loro esempio verra’ di nuovo fuori. Ma come potra’ accadere tutto cio’ mentre sei impegnato a fare altre cose nella tua vita? Magari spendere un anno sabbatico da qualche parte, cambiare citta’, metterti a scrivere quel libro che hai gia’ in testa da anni, esplorare nuove professioni. Ci vorrebbero 20 anni solo per ricavare la giusta soddisfazione da tutte queste cose. E passati quei 20 anni non puoi fermarti e dire OK, ora mi reinvento un altro stile di vita e lo vivo con la stessa intensita’. Non hai il tempo di godere appieno di tutte le cose che hai in mente, di coltivare quel che e’ dentro di te per un periodo sufficiente a darti la soddisfazione, la pienezza di cui hai bisogno per mettere un punto, per dire che ce l’hai davvero fatta. E qui e’ cominciata l’inquietudine. Non e’ che e’ il tempo stesso – o meglio, il tempo che le cose necessitano – a dirti che strada prendere mano a mano che vai avanti nella tua vita? Che magari sei li’ a dirti che ti devi accontentare, che ti conviene prendere una strada fatta di cose che sono ragionevolmente realizzabili nel lasso di tempo che ti rimane, e che e’ meglio lasciar perdere il resto? E’ questo il segreto, la condanna dell’essere adulti?

Arrivato a questo punto ho avuto un moto di stizza. Fanculo – pensavo – ci vorrebbe una vita lunga 200 anni almeno! Ma poi e’ arrivata la salvifica ironia. Perche’ anche se avessimo una vita lunga 200 anni o piu’, probabilmente troveremmo dei nuovi modi di vivere che hanno un tempo di esaurimento ben piu’ lungo, cosicche’ saremmo di nuovo punto e a capo. Anche se vivessimo per secoli, ci lamenteremmo sempre del tempo che manca, e di quanto sia in fondo lui a scegliere per noi la cosa giusta da fare. Non e’ un’ironica fregatura? Ma in fondo se un problema non ha vera soluzione, non vale troppo la pena di continuare a cercarla. E di colpo tutto e’ diventato leggero, al punto da far sembrare pesante anche un lieve mal di testa provocato dal gin tonic.

Writing your XXXX in fifteen minutes a day

Un po’ di tempo fa sono andato a un corso interno del mio istituto riguardante le tecniche di scrittura. Un corso interessante, niente da dire, piu’ che alcune tecniche mostravano alcuni modi mentali da tenere durante la scrittura. Non e’ stato tempo perso. Alla fine della lezione consigliavano un po’ di bibliografia, e tra i vari libri scelti ce n’era uno, Writing Your Dissertation in Fifteen Minutes a Day, scritto da Joan Bolker. Sono sempre stato un po’ restio per questo genere di libri, che non trattano di contenuti, ma di modi. Ricordo sempre in libreria la sfilza di libri su come diventare manager di se’ stessi, come avere a che fare col capo o col subordinato ed altre cazzate sesquipedali che mi hanno sempre fatto venire l’orticaria (l’orticaria di questi tempi mi viene spesso, non so se l’avete notato). Eppure a questo libro ho voluto dare una chance, anche perche’ ero spinto a prenderlo dall’insegnante del corso. Mi sono fidato, l’ho ordinato su Amazon e ieri notte l’ho letto di un fiato.

Ebbene, non son stati soldi buttati, anzi. Diciamo subito che non sara’ utilissimo per la scrittura della tesi di dottorato, anche perche’ ormai sono in dirittura d’arrivo e la seconda revision e’ ormai completata. Pero’ con il tema sono entrato subito in sintonia, perche’ sapevo intimamente di cosa si parla. Come per il corso, non si speri di trovare contenuti o capitoli pronti: questo libro parla di modi mentali, di quello che succede a te stesso mentre scrivi la tesi. Ho trovato scritte in bello stile alcune cose che avevo gia’ scoperto per conto mio, mi ha aiutato a delineare contorni definiti su concetti prima nebulosi. E, la cosa piu’ importante di tutte, mi ha stupito con nuovi concetti che mi son suonati istantaneamente aderenti al vero, e per esperienza personale. Sorvoliamo sul continuo ripetersi di domande come “che cosa voglio dire qua dentro?” o “qual e’ l’aspetto che piu’ risalta in questo paragrafo?”, che trovo francamente noiose e poco stimolanti; quello che mi ha colpito e’ il concetto di revisione del proprio testo. Nel libro non ci sono solo tips utili come creare una versione ridotta di ogni capitolo con una frase per paragrafo, lasciare l’editing nella scala delle singole parole e lo smoothing dei passaggi verso le sezioni per ultimi, usare le orecchie per aiutarsi con le interpunzioni e gli occhi per armonizzare la suddivisione dei paragrafi. Ho provato a fare queste cose su un capitolo della tesi e sono di una profondita’ sorprendente, ti mettono in comunione col tuo scritto, fanno sentire la tesi come un pezzo di macchinario che hai costruito tu e di cui curi la messa a punto, sono veicolo di un nuovo concetto di proprieta’. Ma oltre a questo, la cosa piu’ sorprendente – quasi un pugno nello stomaco per me – e’ la considerazione che la revisione di un proprio testo e’ un modo di mettersi a nudo, e di scardinare la propria pudicizia. Non riesco a dirlo meglio della Bolker, quindi preferisco quotare integralmente, limitandomi alla traduzione (il libro e’ in inglese).

Quando ero una giovane scrittrice, avevo molto poco interesse nella revisione. L’idea di hackerare le parole che avevo gia’ messo giu’ su carta, di cambiarle o anche di scartarle, mi colpiva in modo spiacevole e dannoso. Fondamentalmente non credevo di poter fare qualsiasi cosa meglio se avessi continuato a lavorarci su. In parte, non ci credevo perche’ non realizzavo che, come ogni lavoro che valga la pena di fare, scrivere costa fatica. Non sapevo fosse possibile stancarsi dello scrivere, o annoiarsi, e tornarci su comunque. Ma dietro a queste sensazioni di noia o sfinimento, ce n’erano altre piu’ spaventose: non credevo realmente di avere altre parole nel luogo da dove erano venute quelle che avevo gia’ scritto, cosicche’ suonava rischioso alterare o scartare ogni singola parola che avevo gia’ messo giu’. Volevo lasciarle li’, e pensare che avevo finito con loro anche se non era vero, non volevo sollevare dubbi o lo spettro che avrei potuto, con uno sguardo piu’ attento, scoprire di non aver detto niente o di non aver niente da dire.

Poiche’ ero capace di scrivere velocemente, una volta finito il primo draft, non avevo mai scoperto quanto potrei essere brava a scrivere. Revisionare il mio scritto potrebbe significare esplorare i miei limiti, forse decidere di espanderli; ma probabilmente potrei anche dover rinunciare alla mia fantasia che, lavorandoci su duramente, potrei scrivere come Virginia Woolf. L’altro terrore, per essere chiari, era anche piu’ grande. Rispondevo scrivendo in un linguaggio privato. Quando i lettori mi dicevano che non potevano capire di cosa stessi parlando, io ero sia stressata che segretamente rincuorata. Diventando vecchi, trovai che avevo alcune cose da dire e che avevo sentito. A quel punto divenne per me necessario scrivere nella lingua comune, e revisionare.

Rendere completamente chiaro il tuo scritto significa anche diventare molto vulnerabili. Se qualcuno puo’ scoprire dal tuo scritto cosa credi, o come ti senti, o dove sei, allora egli puo’ gradire o non gradire, concordare o dissentire, congratularsi o criticizzare quello che hai scritto. Fino a quando stai nascosto in uno scritto opaco od oscuro, sei salvo. Don Graves ha enfatizzato succintamente questo dilemma: “devi voler essere un nudista professionale se vuoi diventare uno scrittore”. Se stai avendo qualche problema nel rendere il tuo scritto chiaro, considera se lo vuoi davvero.

Questi tre paragrafi sono stati come un maglio, e su piu’ livelli per giunta. Riguardano la mia tesi di dottorato, certamente. Ho memoria di diversi momenti in cui il mio team leader diceva “non capisco appieno quello che scrivi”, e ora questi ricordi mi fan sentire nudo nella mia candida inadeguatezza. E riguardano pure gli altri scritti che ho prodotto nella mia vita, compreso questo blog. Mi sono riletto tantissime volte, e ho sempre trovato piacere nel rileggermi, ma non ho mai avuto un vero feedback da me stesso. Ho un maledetto senso di autocompiacimento che mi colpisce ogni volta che riguardo qualcosa di mio: che sia un effetto collaterale, l’altra faccia della medaglia assegnata a colui che e’ piu’ pudico di quanto voglia ammettere? Eppure ricordo di essere sempre stato aperto alle correzioni altrui e alle critiche mie personali. Spesso dimostro poco attaccamento alle mie cose e non mi pento di modificarle anche cento volte. Pero’, dopo aver letto questo libro, ogni quadro e’ incrinato. Sono diviso tra la voglia di essere meno pudico e il terrore di non volerlo intimamente essere. E sono pure metadiviso, perche’ non capisco il perche’ di questa voglia o di questo terrore.

Ieri notte, finito il libro, ho deciso a cuor leggero di fare qualcosa suggerito dal libro stesso. Instaurare un’abitudine, o almeno ci si prova: scrivere ogni mattina, appena sveglio, quello che mi passa per la mente per 10 minuti senza alcuna interruzione. Questo post e’ il risultato (in bella copia, e revisitato) di quanto ho scritto oggi, e secondo me le XXXX del titolo rispecchiano bene quest’abitudine. In fondo non sai mai cosa ti capita di scrivere, ma spesso tra il rumore trovi piu’ cose interessanti di quanto ti aspetti. Un post costruito su consiglio di un libro, che riguarda il libro stesso e il concetto di revisione di un post. Lo dicevo io, che non son stati soldi buttati.

KW13

Il Sinclair C5 era un veicolo elettrico ideato da Sir Clive Sinclair (padre dello ZX Spectrum), uno dei suoi piu’ grandi flop in una vita di successi.
L’esperimento OPERA ha finalmente misurato per la terza volta un neutrino tau mutato da un muonico.
Il leggendario episodio di Star Trek doppiato in friulano e triestino, un must per chiunque conosca il FVG.
LCARS e’ il sistema operativo dell’Enterprise 1701-D in Star Trek: TNG.
Quando ero piccolo giocavo sempre a LHX, un simulatore di volo per elicotteri molto divertente, con una grafica degna di Minecraft.
Ho ritrovato dopo tanti anni gli episodi di Troppo Forte! (Sledge Hammer), il telefilm poliziesco demenziale piu’ divertente degli anni ’80.
Nel XIV sec. i cinesi costruirono una flotta di 300 navi di legno lunghe 130 metri (quasi come un odierno destroyer) capitanate da Zheng He.

Il teorema di incompletezza dell’emigrato

In questo periodo in cui manca tutto (soprattutto il tempo) rifletto spesso sul futuro, non solo per focalizzarmi su un obiettivo, per tener ferma la bussola, ma anche per cercare di capire quello che mi aspetta. Pur con tutti i problemi professionali che mi tiro dietro, una parte di me – certo incentivata anche dalle opinioni altrui sul mio conto – cerca di convincere il resto che in fondo sono messo bene, che mi aspetta una vita dignitosa, che non saro’ soggetto a molti problemi che invece affliggono gli altri. Sara’ un po’ la mia tendenza a sviscerare e razionalizzare, ma non riesco a dare ragione a quella parte. C’e’ un concetto che ormai si materializza spesso nella mia mente, e non mi permette di essere convinto al 100% di quello che ho fatto, faccio e faro’: l’incompletezza dell’emigrato.

In tutti questi anni fuori dall’Italia non sono mai stato capace di tagliare i ponti. Ancora oggi per sapere le news guardo i siti italiani, parlo con amici italiani, discuto di vicende italiane. Da molto tempo cerco di capire il perche’, e non molto tempo fa ho trovato una risposta che non sia banale, insoddisfacente. E’ il piacere di comunicare “a banda larga”. No, non mi riferisco al linguaggio di per se’: sebbene ancora non sia performante con il tedesco, ormai con l’inglese sono sufficientemente fluente da aver avuto discussioni amorose (aka litigate) con notevole flusso di dati dal cervello alla mia bocca, e senza perdere un colpo, senza ragionarci su, anzi sentendomi a mio perfetto agio. Mi riferisco invece al contenuto della comunicazione. Solo con chi parla la mia madrelingua sento di avere milioni di cose di cui parlare, scherzare, anche incazzarsi. Deriva dal conoscere tutti i dettagli che rendono uno scambio comunicativo piacevole (almeno per me). Lo scherzo, la battuta, l’allusione, il doppio senso, la critica nascosta, lo stuzzicare, sono tutti elementi che percepisco come unici non solo della lingua, ma anche della cultura del mio paese. Tutte cose che mi mancano come l’ossigeno, e che non riesco a supplire nemmeno stando con altri italiani emigrati. Il mio cervello ne sente il bisogno, quasi come un’auto che ogni tanto necessita di essere messa a tavoletta, per un fulmineo sorpasso o per un tratto a velocita’ massima. La coniugazione fra velocita’ di pensiero e velocita’ di comunicazione e’ uno dei massimi piaceri, e questo accade ogni giorno piu’ raramente.

Questo pero’ non e’ l’incompletezza di cui parlo. Il secondo elemento, inconciliabile con il primo, e’ ormai un senso di insofferenza e di intolleranza verso le stesse qualita’, gli stessi modi che mi permetterebbero di aprirmi. Ormai mi sento castrato ogni volta che sento parlare delle vicende italiane, non solo per lo squallore di certe vicende, ma anche e soprattutto per il modo in cui vengono vissute e risolte (quando capita). Non mi riconosco piu’ nel modo di pensare della maggior parte di coloro che usano il metodo di comunicazione principale che uso, l’unico che mi permetterebbe di far fluire cio’ che ho in mente ad alta velocita’. Non approvo l’analisi, non approvo le soluzioni, non approvo nemmeno i processi logici, le priorita’ e le astrazioni di coloro con cui potrei comunicare come vorrei. Questo vale sia sui massimi sistemi, cioe’ la societa’ generale, che su quelli minuscoli, cioe’ le singole persone o i piccoli gruppi. E’ una dicotomia che ti corrode: da una parte hai tantissime nuove persone che hanno qualcosa di diverso da dire e con le quali non riuscirai mai a comunicare come vorresti, dall’altra hai davvero l’occasione di aprirti, ma nel 99% dei casi la discussione non ti piacera’. Quando devi decidere del tuo futuro, sai che starai male da morire se torni, e sai che non starai bene se te ne stai lontano. Niente botte piena e moglie ubriaca: solo un gran senso di incompletezza, che incrina anche le tue speranze piu’ cristalline.

Il parallelo con il lavoro di Gödel, sebbene stirato al punto da renderlo illogico, non rigoroso, un po’ calza, mi soddisfa. E’ un qualcosa a cui non puoi sfuggire con gli stessi concetti con cui definisci il tuo essere parte di un insieme. Perche’ penso sia un teorema? Perche’ dopo averlo identificato, mi sembra palese che, chi piu’ chi meno, esso sia riscontrabile in ogni persona emigrata che conosco, o perlomeno in ognuna con cui sia entrato un minimo in confidenza. Ancora non riesco a capire se cio’ sia vero, o se sia solo l’umana voglia di applicare a tutto la propria teoria preferita, e crogiolarsi nell’autocompiacimento (quando quello che hai e’ un martello, tutto ti sembra un chiodo, diceva Murphy). Di questo in fondo mi importa poco. Quello che importa e’ il sapere che non sono il solo a sentirsi incompleto, ad essere quasi destinato all’incompletezza. Non e’ una specie di mal comune mezzo gaudio, anche perche’ ancora non riesco a confrontarmi dal vivo su un tema del genere. Solamente, mi viene in soccorso la consapevolezza di essere uno dei tanti a cui capitano queste sensazioni. Poco importa se non tutti riescono a capire di che si tratta. E poi, vedere che, dopo tutto, ad essa si riesce a sopravvivere non mi fa naufragare quando mi capita di riflettere sul futuro.

Anche Feynman ha ragione

Richard Phillips Feynman e’ stato un fisico davvero particolare, diventato un mito per molti fisici non solo per i suoi brillanti risultati, ma anche per la sua personalita’ e il suo talento nel capire ed insegnare. Soprattutto per questo motivo e’ diventato un’icona, al punto che su di lui si sono scritti libri e raccolto materiale. Tempo fa ho vista una sua intervista molto piacevole, “The pleasure of finding things out”, prodotta dalla BBC nel 1981. Due temi in particolare mi hanno colpito, li ho sentiti miei e mi hanno dato conforto. Il primo riguarda la spiritualita’ dello scienziato, in particolare il suo modo di cogliere la bellezza delle cose e la non inferiorita’ del suo approccio. Di questo ho gia’ parlato. Il secondo e’ una riflessione su un argomento per me di grande attualita’, su cui mi trovo a riflettere proprio in questi mesi.
E’ da un po’ di tempo che dedico il mio tempo libero a studiare un po’ di economia, spinto dalla voglia di capire i perche’ della crisi europea. Son partito da alcuni libri di divulgazione, e ora mi ritrovo a leggere working papers del FMI o della Banca d’Italia, riviste come Cambridge Journal of Economics (a cui ho accesso grazie alla MPG) e altre cosette come gli ultimi premi Wolfson. Dopo questo piccolo training, guardando le segrete carte di come si fa la scienza economica al giorno d’oggi, ho una vocina nella mia testa che si fa sempre piu’ forte. A parlare e’ la parte piu’ seria del mio io, quella su cui ho deciso di costruire la mia carriera da fisico sperimentale e su cui la mia indole puo’ trovare massimo spazio. Questa voce e’ un disturbo, un rumore che si fa sempre piu’ grande. Possibile che la scienza economica sia davvero cosi’ elementare, basata su approssimazioni cosi’ grossolane ed autoreferenziali, fondata su calcoli statistici e su quantita’ cosi’ aleatorie e piene di variabili nascoste? Ma davvero questa e’ scienza? Lo dico per esperienza personale, ho la fortissima sensazione che coloro che raccolgono ed analizzano dati in economia non applichino il rigore, l’onesta’ e la criticita’ che io impongo tutti i giorni nel mio lavoro da fisico.
E’ un po’ un discorso di forma mentis, o meglio, di metastrumenti di indagine. Dopo diversi anni in cui applichi pedissequamente un metodo, acquisisci una serie di metastrumenti che ti permettono di valutare quasi a colpo d’occhio se altri lavori sono stati ottenuti con un metodo paragonabile oppure no. Se un articolo di fisica presentasse dei dati con lo stesso rigore di alcuni articoli di economia, questo verrebbe rigettato all’istante e sputtanato alla prima conferenza pubblica in cui l’autore partecipa come lecturer. Lo so perche’ l’ho visto fare con i miei occhi, e tante volte anche. Gente che non prendeva in considerazione l’esistenza di errori sistematici, che non si inventava test per escluderli, che non forniva barre d’errore e non offriva riflessioni sui limiti della propria analisi. Da una parte vedo questa serieta’ e dall’altra vedo che basta una cazzo di retta di regressione costruita su dati ricavati chissa’ come per fare un articolo che sara’ poi citato da altri come risultato acquisito. Ho visto equazioni differenziali semplicissime elevate a grande risultato senza un discorso serio sulle assunzioni che si sono fatte per costruirle, gente che ha costruito modelli macroeconomici con formule ipersemplificate. Tutto cio’ mi sta sconcertando ogni giorno di piu’.
Non ho la stessa esperienza sulle altre scienze sociali (dalla giurisprudenza alla sociologia, passando per la psicologia – e ci metto dentro pure la medicina) come ce l’ho per l’economia. Ho visto meno e analizzato meno. Pero’ ho la spiacevole sensazione che alcune di queste siano addirittura messe peggio, che si facciano chiamare scienza solo per ammantarsi di rispetto, ma che di scientifico abbiano ben poco. Ogni giorno che passa, penso sempre piu’ che abbia ragione Feynman.

George Carlin ha ragione

Io non voto. Il voto non e’ un dovere, e’ un diritto che ci si puo’ permettere di non esercitare, e francamente la retorica del “se non voti, niente cambiera’ e non puoi lamentarti” mi fa vomitare. E’ vero il contrario, se voti NON puoi lamentarti di chi hai contribuito ad eleggere, ed e’ ormai garantito che chi andra’ al potere NON risolvera’ alcun vero problema. Se non altro perche’ loro hanno contribuito pesantemente a crearli. E poi, altra roba che sento in giro, “c’e’ gente che e’ morta per permetterci di votare”. Come se oggi il fatto di votare e non votare fosse in pericolo. Se in un futuro sara’ in pericolo, saro’ in prima fila a protestare, tranquilli. Ma io non voto uno stronzo solo perche’ puzza meno. Oppure quelli che “se non voti, devi accettare qualunque cosa venga fuori dall’urna”. Sapete cosa? PPPPPPRRRRRRRRRRRR! Col cazzo! Non si puo’ attribuirmi la responsabilita’ di una scelta quando questa scelta io non l’ho fatta, solo perche’ la fanno altri. Insomma, a me la propaganda pro-voto fa veramente cagare.
Perche’ alla fine questa campagna elettorale ha dimostrato che nessuno ha veramente a cuore i concetti basilari dello stato. Nessuno che dimostri di cogliere la preziosita’ di certe conquiste. Tutti invece pronti a cedere sovranita’ all’UE senza domandarsi se le istituzioni che la riceveranno siano ugualmente democratiche. Tutti tralasciano il fatto che la nostra Costituzione ha tutta una serie di meccanismi di pesi e contrappesi che il Trattato di Lisbona non ha, e trasferire i poteri e’ un passo indietro. Tutti pronti a difendere conquiste che peggiorano il benessere dei popoli in nome di un sogno europeo che non si realizzera’ mai fino in fondo. Tutti che vogliono andare avanti nella strada dell’indipendenza della banca centrale, lasciando lo stato in balia del mercato per finanziarsi. Tutti pronti a mantenere lo status quo, schiavi della propria ignoranza sui piu’ alti temi.
Beh io questo modo di fare, queste persone non le legittimo con il mio voto. Anzi, credo che sia controproducente un atteggiamento del genere. Con il concetto del meno peggio, uno incentiva la mezza merda ad essere tale, e non la spinge mai a rinnovarsi e a cambiare.

“Per quanto riguarda me, staro’ a casa e faro’ essenzialmente la stessa cosa vostra. L’unica differenza e’, quando io finisco di masturbarmi, io avro’ qualcosina da mostrare, gente.” George Carlin

KW6

La Battaglia di Canne da 2000 anni e’ studiata da tutti gli strateghi militari.
Il trailer del prossimo film di Star Trek. Non vedo l’ora.
Durante l’assedio di Stalingrado, un edificio, la Casa di Pavlov, era stato trasformato in fortezza ed ha retto l’impatto contro la Sesta Armata nazista, nonostante fosse popolato solo da un plotone.
Semplicemente il piu’ grande veicolo esistente, visibile anche su Google Maps
ATS, semplicemente i migliori amplificatori per basso, oggi, in italia.
Il Vikersundbakken e’ il trampolino per il volo con gli sci piu’ grande del mondo.
Il Cifrario VIC era usato da una spia sovietica per contrabbandare informazioni. Non e’ mai stato craccato fino a quando l’agente del KGB non ha disertato.
Nel 1942 a Kiev si e’ giocato il match della morte, fra soldati nazisti ed ex giocatori professionisti ucraini. Nonostante gli ordini di lasciar vincere i tedeschi, gli ucraini li hanno umiliati. Solo due son sopravvissuti.
Il classe Kirov e’ unico incrociatore lanciamissili a propulsione nucleare mai creato, vera spina dorsale della flotta sovietica (quasii sprovvista di portaerei).

La magnificenza del particolare

Qualche giorno fa ero in macchina con un mio amico, col quale mi piace disquisire dei tanti temi della vita invece che ascoltare la solita radio. Il caso ha voluto che, parlando di alcune conoscenze in comune, il discorso sia virato sul legame tra religione e spiritualita’. Io, ateo militante, e lui, cristiano convinto, a parlare di religione e spiritualita’: pericolosissimo. E invece, ci siamo focalizzati su un aspetto e l’abbiamo affrontato in modo talmente schietto e originale da esser rimasti soddisfatti entrambi del nostro operato. No, nessuno ha cambiato idea; siamo – o almeno credo – rimasti soddisfatti di come abbiamo spiegato i nostri approcci l’uno all’altro. O almeno io lo ero. E da quella discussione traggo spunto.

Come puo’ un ateo come me essere allo stesso tempo “spirituale”?

Piccola digressione per intenderci subito, io non sono ateo nel senso che ritengo ragionevole il fatto che non ci sia alcuna divinita’ dietro all’uomo, il mondo, l’universo e tutto quanto. In quanto scienziato, non posso dire che qualcosa non esiste in senso assoluto. Invece, io mi comporto come se questa/e divinita’ non esistesse/ro, per una specie di teorema della misura inverso. Siccome io quando misuro perturbo, cio’ significa che dovrei essere perturbato se qualcuno compiesse un’azione su di me. Siccome tali perturbazioni non sono riscontrate, posso ragionevolmente supporre che entro il mio orizzonte degli eventi non c’e’ nessun misuratore. Poi va’ a sapere se c’e’ davvero oltre l’orizzonte. Ma tanto oltre l’orizzonte mica ti puo’ perturbare, quindi per te e’ come se localmente non esistesse. E tanto mi basta per vivere serenamente. Poi se dovesse succedere, vorra’ dire che qualcosa ha oltrepassato l’orizzonte degli eventi. Nulla di sconquassante.
Detto questo, il punto centrale e’ il seguente: una persona puo’ provare la sensazione di essere in comunione con l’universo pur non ammettendo che ci sia una fonte non materiale dell’universo. La figura di dio non e’ affatto necessaria per godere delle magnificenze dell’universo stesso, non c’e’ alcuna perdita di valore nelle cose particolari se non si riconosce che esiste una fonte della bellezza generale. Quando avevo dieci o undici anni e andavo a vedere le stelle in cima al monte di casa mia, mi ci perdevo. Non capivo cosa c’era lassu’, ma questo non mi abbatteva. Nessun horror vacui, ma solo un’opportunita’. C’era un intero universo da capire. E oggi, dopo tanti anni, ho scelto di fare il fisico per mantenere sempre viva quella sensazione, la gioia della scoperta, l’intima sensazione del capire quel poco delle cose, e sentirsene parte proprio perche’ si e’ riusciti a svelare il funzionamento di qualcosa. Senza la grande pretesa di capire tutto, perche’ alla fine non e’ quello l’importante. Non e’ fondamentale arrivare al punto finale, ma lo sono le sensazioni che ti si scatenano dentro mentre cerchi di farlo. In fondo, al tuo io frega solo quello.
A dirla tutta, poi, questo meccanismo e’ univoco: esula dalla pretesa tutta religiosa che lo scopo del mondo e’ essere contemplato dagli uomini. Come diceva Carl Sagan, e’ la cosa meno umile che c’e’, pensare che un volume di 10^30 anni luce cubici sia stato fatto per 10^9 esserini che vivono su un sasso largo 12mila km. Quello che possiamo fare e’ semplicemente goderne, gioendo delle sensazioni che ci provoca la limitata comprensione di qualche evento particolare. Essere contenti di quel che si riesce a capire, cercare di elevarsi un po’ di piu’, ma senza avere la presunzione che sia necessario essere in comunione col generale per avere il vero appagamento dello spirito. Questo e’ l’essere spirituali, far toccare l’universo al proprio io: contemplare, ricercare, riflettere e raccontare. Magari ad un amico, in una macchina a radio spenta.

Marziale

Lo confesso, una volta sono stato attento alle lezioni di letteratura latina. Ma era per una buona causa: Marziale, il maestro dell’in cauda venenum, la stronzaggine elevata ad arte.

QUELLO CHE CANDIDO HA IN COMUNE

Tu da solo possiedi dei poderi,
da solo, o Candido, denaro,
da solo ti godi i vasi d’oro,
quelli di murra ti godi anche da solo
bevi da solo il Massico e da solo
bevi il Cècubo dell’anno di Opimio
e da solo hai un cuor, da solo ingegno.
Tutto hai tu da solo
– non credere ch’io voglia dir di no –
ma la moglie tu, Candido,
con tutti l’hai comune.

GLI INVITI A CENA DI COTTA

Tu, Cotta, non inviti a cena
se non un compagno
di bagno. A te soltanto le terme
procurano un commensale.
Mi meravigliavo, o Cotta,
perché non m’invitassi mai:
ora so bene che nudo
a te non sono piaciuto.

IL BENEFICIO DEL PODERE NOMENTANO

Tu mi domandi, o Lino
cosa mi renda il fondo di Nomento?
Esso mi rende questo beneficio:
ch’io non ti vedo, o Lino.

LA MOGLIE DI GALLO

Tra i popoli libici tua moglie
è infamata, o Gallo, gravemente
di un’avidità senza misura.
Ma sono pure e semplici calunnie:
essa non suol ricever cosa alcuna.
Che cosa dunque suole fare?
Dare, dare se stessa.

LA MERAVIGLIA D’UN AMMIRATORE

Un Tizio, o caro Rufo, l’altro giorno,
dopo avermi osservato attentamente,
come un esperto comprator di schiavi
od un allenator di gladiatori,
e dopo avermi indicato di soppiatto
col dito e con un cenno del suo volto,
«Sei tu, proprio tu quel Marziale,
le cui maligne burle
son note a chi non ha l’orecchio barbaro?»
Sorrisi appena e con un lieve cenno
confermai di esser proprio quello
ch’egli dianzi aveva nominato.
«Come mai,» disse, «porti indosso
un così misero mantello?»
Risposi:
«perché sono un poeta da tre soldi».
Rufo, perché
questo non si ripeta molto spesso
manda un mantello buono al tuo poeta.

UNA SPIEGAZIONE

Perché, Pontiliano,
non ti mando i miei libri?
Per non ricevere in cambio,
Pontiliano, i tuoi.

LE COMPAGNE DI FABULLA

Tutte vecchiotte sono le tue amiche
o brutte o più brutte delle vecchie.
Son queste le compagne
che tu ti tiri dietro
nei conviti, pei portici, al teatro.
Solo così, Fabulla, tu sei bella,
solo così giovane tu appari.

IL CAMPO DI FILERO

Filero,
già viene seppellita nel tuo campo
la tua settima moglie.
A nessuno, Filero, a nessuno
un campo rende tanto quanto a te.

SO E POTREI DIRE…

Fausto non so quel che tu scriva
a tante giovani donne;
posso però dire
quello che nessuna scrive a te.

LA SOBRIETÀ DI APRO

Apro non beve, è astemio.
A me che me ne importa?
Così io lodo un servo, non l’amico.

GENEROSA CONCESSIONE

Non ci reciti i tuoi versi, o Mamerco,
e vorresti passare per poeta.
Purché non reciti nulla,
passa per quello che vuoi.

LACRIME A COMANDO

Quando Gellia sta sola soletta,
non piange per il padre che ha perduto,
ma se qualcuno s’avvicina a lei,
scorre giù a comando
un pianto senza fine.
Chiunque cerca di essere lodato,
non piange, o Gellia;
sente il dolor veramente
chi piange in segreto.

A UN BEONE

Chi crede che Acerra puzzi
del vino ieri bevuto,
s’inganna:
Acerra continua a bere
sino alle luci dell’alba.

KW 1

Oliver Cromwell e’ colui che nel secolo XVII ha per un certo periodo abbattuto la monarchia inglese e instaurato la repubblica in Inghilterra.
Ho passato un giorno intero ripetendo con piacere un po’ di relativita’ generale, grazie alle lezioni di Leonard Susskind messe online dall’Universita’ di Stanford.
A Flogsta, in Svezia, ogni giorno alle 10 di sera gli studenti dell’universita’ si affacciano ai balconi del dormitorio e iniziano a urlare.
Harold Shipman e’ un serial killer contemporaneo che ha ucciso almeno 260 persone con dosi letali di morfina.
Tsingtao e’ una citta’ cinese ceduta alla Germania dal 1897 al 1922. Per questo motivo e’ ovviamente diventata la patria di una delle birre cinesi piu’ famose.
La Emden era un incrociatore leggero tedesco che ha seminato distruzione nell’Oceano Indiano durante la prima guerra mondiale, affondando una trentina di navi militari e mercantili.
Leggo periodicamente il blog di Lydia Lee, in arte Julie Meadows, pornostar in pensione che scrive opinioni e gira documentari interessanti sulla sessualita’ e sul mondo del porno negli USA.
Jonathan Tepper ha vinto il premio Wolfson per l’economia per questo lavoro, che prende in esame da un punto di vista storico ed economico l’uscita di paesi da sistemi di moneta unica.

KW 51

L’ultima puntata di Star Trek Voyager, Endgame http://www.youtube.com/watch?v=KtE7Ys2LCM0
La linea ad alta velocita’ fra Pechino e Shanghai collega le due citta’ in 4h48′. http://en.wikipedia.org/wiki/Beijing–Shanghai_High-Speed_Railway
Martin Landau, uno dei miei attori preferiti quando ero bambino, a causa di Spazio 1999 http://it.wikipedia.org/wiki/Martin_Landau
Gli animali ed i vegetali sono solo due dei sette regni linneici in cui si organizzano i viventi. http://it.wikipedia.org/wiki/Regno_(biologia)
Il Generale Lee, la Dodge Charger protagonista di Hazzard, monta tra gli altri il motore Dodge 426, con camera di combustione emisferica (!) http://en.wikipedia.org/wiki/Chrysler_Hemi_engine
Il catalogo LEGO fa sempre il suo effetto http://www.lego.com/it-it/products/brandcatalog.aspx?icmp=COIT12HomeRE1Brandcatalog
Dilbert non ha bisogno di presentazioni. Da oltre un anno leggo la sua striscia ogni mattina a colazione. http://dilbert.com
L’alfabeto Thai ha 44 consonanti e almeno 28 forme vocaliche. http://it.wikipedia.org/wiki/Alfabeto_thai

Fosforo

“Ma Giulia, già di regola piuttosto irrequieta, quella sera comprometteva la stabilità dell’equipaggio: stringeva convulsamente il manubrio contrastando la guida, cambiava di scatto posizione, illustrava il suo discorso con gesti violenti delle mani e del capo che spostavano in modo imprevedibile il nostro comune baricentro. Il suo discorso era in principio un po’ generico, ma Giulia non era il tipo che si tiene i segreti in corpo ad intossicarlo; a metà di via Imbonati usciva già dal vago, e a Porta Volta era in termini espliciti: era fuoriosa perchè i genitori di lui avevano detto di no, e volava al contrattacco. Perchè lo avevano detto? – Per loro non sono abbastanza bella, capisci? – ringhiò, scuotendo il manubrio con ira.
– Che stupidi. A me sembri abbastanza bella, – dissi io con serietà.
– Fatti furbo. Non ti rendi conto.
– Volevo solo farti un complimento; e poi lo penso proprio.
– Non è il momento. Se cerchi di farmi la corte adesso, ti sbatto per terra.
– Cadi anche tu.
– Sei uno scemo. Dài, pedala, che si fa tardi.
In Largo Cairoli sapevo già tutto: o meglio, possedevo tutti gli elementi di fatto, ma talmente confusi e dislocati nella loro sequenza temporale che non mi era facile cavarne un costrutto.
Principalmente, non riuscivo a capire come non bastasse la volontà di quel lui a tagliare il nodo: era incepibile, scandaloso. C’era quest’uomo, che Giulia mi aveva altre volte descritto come generoso, solido, innamorato e serio; possedeva quella ragazza, scarmigliata e splendida nella sua rabbia, che mi si stava dibattendo fra gli avambracci impegnati nella guida; e invece di piombare a Milano e farsi le sue ragioni, se ne stava annidato in non so più quale caserma di frontiera a difendere la patria. Perchè, essendo un “gòi”, faceva il servizio militare, naturalmente: e mentre così pensavo, e mentre Giulia continuava a litigare con me come se fossi stato io il suo don rodrigo, mi sentivo invadere da un odio assurdo per il rivale mai conosciuto. Un gòi, e lei una goià, secondo la terminologia atavica: e si sarebbero potuti sposare. Mi sentivo crescere dentro, forse per la prima volta, una nauseabonda sensazione di vuoto: questo, dunque, voleva dire essere di altri; questo il prezzo di essere il sale della terra. Portare in canna una ragazza che si desidera, ed eserne talmente lontani da non potersene nemmeno innamorare: portarla in canna in Viale Gorizia per aiutarla ad essere di un altro, ed a sparire dalla mia vita.
Davanti al 40 di Viale Gorizia c’era una panchina: Giulia mi disse di aspettarla, ed entrò nel portone come un vento. Io mi sedetti ed attesi, lasciando via libera al corso dei miei pensieri, sgangherato e doloroso. Pensavo che avrei dovuto essere meno gentiluomo, anzi, meno inibito e sciocco, e che per tutta la vita avrei rimpianto che fra me e lei non ci fosse stato altro che qualche ricordo scolastico e aziendale; e che forse non era troppo tardi, che forse il no di quei due genitori da operetta sarebbe stato irremovibile, che Giulia sarebbe scesa in lacrime, e io avrei potuto consolarla; e che queste erano speranze nefande, un approfittare scellerato delle sventure altrui. E finalmente, come un naufrago che è stanco di dibattersi e si lascia colare a picco, ricadevo in quello che era il mio pensiero dominante di quegli anni: che il fidanzato esistente, e le leggi della separazione, non erano che alibi insulsi, e che la mia incapacità di avvicinare una donna era una condanna senza appello, che mi avrebbe accompagnato fino alla morte, restringendomi ad una vita avvelenata dalle invidie e dai desideri astratti, sterile e senza scopo.
[…]
Giulia si sposò pochi mesi dopo, e si congedò da me tirando su lacrime dal naso e facendo minuziose prescrizioni annonarie alla Varisco. Ha avuto molte traversie e molti figli; siamo rimasti amici, ci vediamo a Milano ogni tanto e parliamo di chimica e di cose sagge. Non siamo malcontenti delle nostre scelte e di quello che la vita ci ha dato, ma quando ci incontriamo proviamo entrambi la curiosa e non sgradevole impressione (ce la siamo più volte descritta a vicenda) che un velo, un soffio, un tratto di dado, ci abbia deviati su due strade divergenti che non erano le nostre.”

Primo Levi, “Il Sistema Periodico”, Fosforo.

KW 50

Devo confessarlo, io sono un malato del web. Oddio, non che non sia evidente anche agli altri che mi conoscono quantomeno un po’, ma non sempre e’ quello che sembra. Subito vien da pensare che un malato del web e’ affetto da dipendenza da facebook, twitter e quant’altro di improduttivo c’e’ in questo mondo virtuale. Io, con buona pace delle apparenze, non credo di essere cosi’ ossessivamente coinvolto nei social network. Tranne in casi eccezionali, twitto una o due volte al giorno. Facebook e’ sempre aperto, ma non lo spulcio cosi’ spesso. Invece, sono un malato della conoscenza sul web, la forma di dipendenza piu’ bella che ci sia.

Quando ero un bambino i miei libri preferiti erano gli atlanti e le enciclopedie. La Nuovissima Enciclopedia Generale De Agostini – 20 volumi – l’ho sfogliata talmente tante volte da sapere a memoria pure la suddivisione letterale dei volumi (A-Anag, Anah-Aviat, Aviaz-Bouar e cosi’ via). Oggi ho a disposizione una fonte di sapere enormemente piu’ grande a qualche click di distanza. Per me e’ il mio parco giochi, e troppe volte invece di fare il mio dovere perdo le ore a leggere articoli e libri, voci di Wikipedia, guardare documentari. E siccome questo blog e’ in omaggio a tutto cio’ che NON voglio realizzare, voglio offrire periodicamente un assaggio di quello che visiono e studio sul web. KW 50 significa Kalendarwoche 50, cioe’ la 50esima settimana dell’anno. Ecco in dettaglio come in questa settimana ho sottratto tempo utile per fare qualcosa di necessario.

Heinrich Brüning, Cancelliere della Germania di Weimar e responsabile delle politiche deflazionistiche che hanno spinto la popolazione a dare supporto ad Adolf Hitler. http://en.wikipedia.org/wiki/Heinrich_Brüning
Ero curioso di sapere come funziona la Corte Suprema del Regno Unito. http://en.wikipedia.org/wiki/Supreme_Court_of_the_United_Kingdom
Una sera mi son goduto un video divulgativo sulla storia della Teoria delle Stringhe. Piuttosto semplice e vuoto di contenuti veri, a dir la verita’, ma per lo meno Witten si fa perdonare i suoi maglioni spiegando bene. http://www.youtube.com/watch?v=kYRV-MOATUc
WAIS, ovvero uno dei test di misurazione del QI piu’ usati al mondo negli ultimi 50 anni. http://en.wikipedia.org/wiki/Wechsler_Adult_Intelligence_Scale
Siccome adoro i numeri e le classificazioni, guardo sempre con piacere la lista delle costruzioni piu’ alte erette dall’uomo. http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_tallest_freestanding_structures_in_the_world
I Kindertransport erano i trasporti dei bambini ebrei dalla Germania Nazista ai paesi occidentali dal 1938 al 1940. C’e’ passato pure Walter Kohn. http://en.wikipedia.org/wiki/Kindertransport
Un interessante intervento di Piercamillo Davigo sulla comparazione del processo penale fra Italia e USA. http://www.youtube.com/watch?v=CYu2f-496HE
Siccome sono pigro e molto interessato all’economia, leggo sempre Vocidallagermania, un blog che traduce in italiano i principali editoriali economici tedeschi. http://vocidallagermania.blogspot.it
Lo spettacolo completo di Marco Paolini sull’eugenetica nella Germania Nazista e altrove, Ausmerzen. http://www.youtube.com/watch?v=8E-31E_dy5I

Razionale e irrazionale

Forse sara’ per la mia forma mentis, ma ogni volta che sento parlare (spesso con toni entusiastici) dell’irrazionalita’ mi viene l’orticaria. Per come la vedo io, l’irrazionalita’ non esiste. E’ solo una scusa, una subdola figura retorica, un dio verso il quale rendere gloria sacrificando sull’altare l’idea che non si e’ abbastanza onesti con se’ stessi, e sentirsi poi appagati nel giustificare certi comportamenti sotto il nome di irrazionalita’. Io, devo confessarlo, sto male in una realta’ in cui l’irrazionalita’, per come viene identificata, e’ un plusvalore, un termine sotto sotto positivo. L’amore viene dipinto come irrazionale, come pure la paura, l’istinto e la passione, e di conseguenza l’accezione positiva di questi fenomeni viene trasferita sull’aggettivo qualificante. Ed io soffro.

A scanso di equivoci: non e’ che soffro perche’ non sono capace di provare tali sensazioni ed istinti. Tutt’altro. Soffro perche’ la spiegazione che io do di essi e’ totalmente opposta a quella che gli altri danno. E’ una specie di castrazione, una barriera. Ma andiamo per ordine (ovviamente razionale).

Ogni volta che provo qualcosa che altri bollano come irrazionale, io cerco di andare piu’ a fondo nell’analisi, e sistematicamente scopro che quello che viene dipinto come irrazionale non lo e’ intrinsecamente, ma e’ semplicemente non ben compreso. Un esempio semplice e’ il comportamento “irrazionale” che hanno coloro che non attraversano a piedi col rosso fino a che qualcun altro lo fa. Cosa c’e’ di irrazionale in questo? Si puo’ benissimo comprendere che gli esseri umani interpretano le regole come parte di un contratto sociale, inculcato a forza dall’istruzione ma labile nelle sue fondamenta, perche’ cementificato solo da un fittizio senso di colpa. Basta che una persona lo incrini di poco e via! si attraversa la strada. Questo lo si interpreta come irrazionale solo per non ammettere davanti agli altri di non essere intimamente convinti della giustezza delle regole. E questo comportamento non e’ altro che un’altra parte dello stesso contratto sociale.

Altro esempio. Tempo fa un’amica mi disse di sapere che quel ragazzo la sta rovinando, che si sta cacciando nei guai, e che sarebbe stato meglio lasciarlo perdere. Eppure, periodicamente lei tornava a contattarlo, gli dimostrava autonomamente dell’interesse, se non poi tornare a commiserarsi qualche tempo dopo per lo stesso motivo. Ebbene, la sua analisi e’ stata: “Ma sai, l’amore e’ irrazionale, non si puo’ comprendere”. Ed io sentivo una piccola crepa. Non perche’ fossi coinvolto direttamente nella questione, ma perche’ si era materializzata, evidente ed incolmabile, una differenza tra me e lei nell’intendere la vita, con l’ovvia conseguenza che non la percepivo piu’ come spirito affine. Perche’ alla fine lei sapeva che lui era un poco di buono, lo sapeva davvero. Invece non sapeva ammettere che a lei, di quelle cose, non fregava un cazzo di niente, che in cuor suo era molto piu’ importante una notte a scopare, un gesto d’amore proveniente da lui o anche solo il piacere della sua conquista. E allora ecco che l’irrazionalita’ viene usata come scusa, come modo subdolo di accettare lo status quo e di scaricare le proprie responsabilita’, di alleviare il peso di ammettere che siamo peggio di quanto pensiamo di essere.

Perche’ nei sentimenti e negli istinti non c’e’ nulla di irrazionale. Pure loro rispondono a necessita’, ad input, a desideri secondo un rapporto causa-effetto e con una gerarchia ben strutturata, chiara e diversa per ognuno di noi. Non c’e’ nulla di sbagliato in questo, anzi e’ estremamente naturale. Piuttosto, l’unico problema e’ che spesso tale intreccio tra cause ed effetti e’ talmente complicato da diventare inconoscibile nella sua pienezza. Ma l’inconoscibilita’ non implica che automaticamente ci sia del caos, non ci sia un ordine razionale. Questo e’ provato dal fatto che, per alcune cose, dopo tanto pensarci e una massiccia dose di onesta’ verso se’ stessi, si riesce a comprendere un po’ di quella trama razionale che sta dietro a decisioni e sensazioni a prima vista irrazionali. Allora e’ possibile conoscere un po’ di quel casino! Invece molte persone trovano comodo e facile non cimentarsi in questa indagine e descrivere oggetti come fuori dal campo della razionalita’, come diversi in modo intrinseco, collocandoli poi in un insieme parallelo che non ha ragion d’essere e che spesso, assurdamente, viene caratterizzato e premiato come valore positivo, col grande e costosissimo riflesso che la ricerca e l’onesta’ diventano ad essi antitetici. E a me non resta che trovare una pomata contro l’orticaria.

Il miglior modo

Il miglior modo di NON realizzare un’idea che si ha in mente e’ partire dalla piattaforma su cui quest’idea dovrebbe svilupparsi. E’ come quando, dopo il voto fatto a capodanno di mettersi a dieta, uno va ad iscriversi ad una palestra che non frequentera’ mai. Ecco perche’ uno come me apre il blog. Per buttare giu’ le idee che ho in mente, e non realizzarle.