Pronti per il secondo appuntamento con Bass Concepts? Questo giro tocca a White Wizard, splendida mid-tempo piena di pathos. Ora, canzoni del genere non si prestano alla creazione di video funambolici pieni di note complicatissime. Chissenefrega della tecnica! Per una volta, ho deciso di parlare di altri aspetti ugualmente importanti, come ad esempio l’arrangiamento. Come sempre in quasinglese.
Bass concepts: Rhapsody Of Fire – Clash Of Times
Cari tutti, oggi comincio una serie di video nei quali parlo di musica. Non volevo fare il solito video playthrough di alcuni pezzi, ci tengo invece a interagire di più con tutti voi. Di conseguenza ho pensato che la cosa migliore non è solo suonare, ma è anche parlare di musica e in particolare dei concetti che stanno alla base delle composizioni e degli arrangiamenti. Così diventano visibili i pensieri che pochi raccontano. Eccovi il primo video, parla di una canzone dell’ultimo disco dei Rhapsody Of Fire, Clash Of Times. In inglese, ovviamente.
Ricordi di una vecchia storia
Come molti di voi sanno, quasi 14 anni fa ho fatto un’esperienza onestamente incredibile, ho partecipato (e vinto) a un reality show su Italia 1, La Pupa e Il Secchione, versione italiana di Beauty and the Geek. E’ un argomento di cui mi ritrovo sempre volentieri a discutere con chi me lo chiede, ma che alla lunga mi ha visto dare sostanzialmente sempre le stesse risposte – vista anche l’inevitabile ripetitivita’ delle domande, bisogna dirlo. In questi giorni invece e’ accaduto qualcosa di diverso, cosi’ potente da spingermi a riaprire il blog. Per la prima volta ho visto una nuova stagione del programma, e devo ammettere che ha catturato la mia mente in maniera sorprendente. Al netto degli avvenimenti narrati, che riguardano le vite dei concorrenti di oggi, c’e’ stata una fortissima sovrapposizione fra quello che mamma Mediaset ci mostra oggi e quello che e’ mi successo davvero nel 2006. Un grand’effetto di sostituzione della realta’: e’ come se vedessi me stesso li’ dentro, ma dal lato dello spettatore. Una specie di cortocircuito che ti permette di richiamare sensazioni e situazioni vissute tanti anni fa come se accadessero ora. Mi si e’ sbloccato un livello nascosto del mio videogioco mentale, e’ come se avessi scoperto l’accesso alla Stanza dei Ricordi Nascosti. Ci sarebbero tante cose da dire al riguardo, e magari ve le raccontero’ con calma. Oggi pero’ sento l’urgenza di razionalizzare un aspetto particolare di tutto quel che e’ successo, cioe’ com’e’ cambiato il mio rapporto con le persone e con l’umanita’ in generale. Butto giu’ due righe per far uscire quel che ho dentro, e sentirmi meglio, sperando che serva a qualcuno.
Il giorno in cui Sabrina di Endemol mi telefono’ per dirmi che mi avevano preso avevo 24 anni. Mi trovavo in laboratorio, mi preparavo a tirar su gli ultimi dati per finire la mia tesi di laurea specialistica in fisica della materia. Ancora ricordo, “Primo settembre, 11 e 30, Studio 11 di Cologno Monzese. Portati vestiti per un paio di mesi.” Come lo dico al mio relatore? Il programma mi ha costretto a prendermi un anno sabbatico e a rifare daccapo un’intera tesi di laurea, ma cazzo se ne e’ valsa la pena! Non lo dico solo per il fatto di aver vinto, ma perche’ ho vissuto un’esperienza impareggiabile che ha lasciato in me profondi segni all’inizio quasi invisibili e con il passare degli anni sempre piu’ evidenti. Sapete, prima di entrare nella Casa vivevo in un mondo fatto a mia immagine e somiglianza. Frequentavo amici di scuola e universita’, seguivo le mie tante passioni (musica, sport, viaggi, giochi) ed ero superimpegnato. Un ambiente del genere, composto esclusivamente da situazioni in cui vuoi cacciarti, ti forgia in un certo modo: ti permette di avere il tempo di sviluppare alcune tue capacita’, ma al prezzo di far sviluppare solo alcuni lati del tuo carattere. Ti sembra che sia tutto giusto, che tu sia un pezzo di puzzle con la tua forma gia’ fatta e definita, e che il mondo sia li’ ad aspettarti con un buco esattamente della tua misura. Sai qual e’ il tuo posto sul pianeta. Ti circondi di un certo tipo di persone e ti senti appagato.
Il reality in questo ha avuto l’effetto di una bella bomba atomica. O meglio, ti ritrovi in qualcosa definibile a meta’ tra un ottovolante e uno schiacciasassi, che mi ha risputato completamente masticato e pronto per acquisire una nuova forma. Ma andiamo con ordine.
La vista dei primi problemi di comprensione tra pupe e secchioni di quest’anno mi ha fatto ricordare le difficolta’ che avevo pure io nei primi giorni, diciamo fino alla terza settimana. Ero completamente passivo agli eventi e non mi interessava approfondire alcunche’ con la mia pupa, pensavo solo a godermela e basta. Questo perche’ ero in grossa difficolta’ nell’instaurare con lei un minimo rapporto di fiducia. E come potevo? Tralasciando il fatto di dover convivere 24 ore al giorno con qualcuno che ha abitudini molto diverse dalle tue in un posto in cui non puoi fare NULLA di quello che normalmente fai (compreso ascoltare la musica che vuoi), il vero punto dolente era la distanza che percepivo tra me e lei. Come posso – mi chiedevo – fidarmi di una persona che non riesce a stimare correttamente quasi qualunque cosa le si pari davanti? Che non solo sa molto poco delle cose del mondo passate e presenti, ma che vedi fare errori marchiani su qualunque cosa la vita ti ha insegnato essere necessaria per sopravvivere. Io invece, oltre a studiare fisica ed essere brillante negli studi, andavo in discoteca da quando avevo 16 anni, suonavo gia’ da tanto e facevo concerti in giro, giocavo a pallamano in serie B, avevo gia’ avuto le mie storie d’amore, sapevo pure piu’ io di gossip di lei grazie alla mia memoria! Cosa ho da imparare da una cosi’? Pure i rapporti interpersonali che la vedevo instaurare con gli altri concorrenti mi sapevano di superficiale, di gia’ visto, di elementare. Un disastro su tutta la linea. Tutto questo casino in testa mi aveva reso completamente impermeabile, forse anche scorbutico, sicuramente poco socievole e disposto a giocare e ad aiutarla. In tanti spezzoni mandati in onda quest’anno ho rivisto le stesse scene di incomunicabilita’ iniziale che avevo vissuto io e che credo siano state comuni a molti di noi concorrenti secchioni. In questo, va detto, le pupe erano molto piu’ avanti. I miei ricordi sono pieni di scenate delle ragazze che ci gridavano addosso di tutto per svegliarci e per sfogare una frustrazione che anche loro dovevano avere, e principalmente per colpa nostra, mentre noi restavamo fermi immobili come statuine, abituati come eravamo a prendere le cose con distacco e pazienza. Uno stallo dal quale non sapevo uscire, che mi aveva portato ad avere due nomination di fila e dalle quali ci siamo salvati con un misto di abilita’ (come ho detto, nel gossip ero molto forte) e di pieta’ altrui, visto che Daniele Durante ha scelto deliberatamente di non dare l’ultima risposta esatta e di render patta la prima sfida. Non credo di averlo mai ringraziato come si deve, grazie Daniele!
Dopo la terza settimana, un uso abbondante del confessionale e una provvidenziale sveglia mattutina con Stairway To Heaven mandata a palla dall’interfono (grazie Autori!) mi sono gradualmente ritrovato fuori dalle nebbie. E’ stata una commistione di volonta’ di ingoiare il boccone amaro e di una serie di avvenimenti. Innanzitutto era successo che le dinamiche interne tra le ragazze – molto piu’ forti e volubili di quelle tra noi ragazzi – si erano cristallizzate in un’avversione generale verso la mia pupa, Rosy. Allo stesso tempo sono accadute cose di rilievo, come l’ammutinamento per un giorno di noi secchioni, la scena del carwash col rifiuto di due ragazze di prestarsi, una sera con griglia e vino a fiumi sfociata in pianti per alcuni, la rinuncia di Durante e l’arrivo di nuovi concorrenti. Tutte queste cose hanno progressivamente distolto la mia attenzione morbosa da me stesso e dalla mia condizione, e mi hanno fatto vedere la situazione per quello che davvero era. Gradualmente, cominciavo a vedere cose prima invisibili e a valutare le persone solo per come si comportano. Tra tutte, finalmente cominciavo a rivalutare Rosy, una persona che ha un sacco di limiti ma che e’ capace di gesti non necessari ma gentili, come il salvarmi un po’ di cibo perche’ ero fuori con la troupe a fare una prova durante l’ora di pranzo. Non necessario perche’ avevamo cibo potenzialmente illimitato, gentile perche’ ero l’unico ad aver avuto questo trattamento in quel frangente. Una persona che resisteva stoicamente a tutti gli attacchi degli altri che la prendevano in giro per il suo modo di essere. E allora mi son detto chissenefrega. Chissenefrega se Rosy vede come una conquista cose che per me sono elementari, se continua ad avere abitudini discutibili e ad essere ai miei occhi sostanzialmente inaffidabile per un sacco di cose. Quello che conta alla fine e’ la bonta’ di una persona e l’atteggiamento che ha in quello che deve fare. Una lezione che mi son portato dietro negli anni e che mi ha permesso di scoprire nuove cose di me stesso, al punto da dedicare al tema un post di questo blog scritto in tempi non sospetti e in circostanze del tutto diverse.
Dopo quegli avvenimenti siamo stati la coppia che piu’ ha lavorato per cercare di migliorarsi, di interagire, di creare qualcosa. Siamo cresciuti esponenzialmente nella nostra reciproca confidenza, cosi’ tanto che – e questo non lo sa praticamente nessuno a parte noi e gli autori, visto che e’ accaduto lontano dalle telecamere – a due giorni dal finale del reality ho innestato un gigantesco freno a mano nel nostro rapporto, dicendole frasi pesanti e meritandomi un discreto lancio di oggetti da parte sua. Il nostro rapporto stava diventando addirittura troppo preponderante ed importante, piu’ grande del gioco stesso. Incredibile, no? D’altra parte e’ uno strano mondo quello del reality show a reclusione: quando stai 24 ore su 24 chiuso in casa con un gruppo di persone tutto diventa enorme. Se qualcuno ti sta solo un po’ sulle palle te lo ritrovi davanti ogni mezz’ora e finisci per odiarlo ferocemente. Se qualcuno invece ti diverte – magari il componente di un’altra coppia, com’e’ ad esempio capitato dopo il primo mese a molti di noi maschi con Elisa Della Valentina – sperimenti una sorta di assuefazione al punto da farti dimenticare che devi giocare in coppia con il partner assegnato. Pericolosissimo. Per carita’, poi esci e ritorna tutto al proprio posto. Forse.
Alla fine di tutto, una volta fatto calare il sipario su un periodo straordinario, l’eredita’ piu’ grande che mi resta, piu’ grande della fama durata qualche mese, del montepremi vinto e di tante altre cose, e’ stata dunque la mia evoluzione caratteriale. Mi sono riscoperto piu’ serafico e zen, e allo stesso tempo molto piu’ malizioso. L’aver dovuto interfacciarmi con una persona cosi’ distante da quello che ero ha gradualmente cancellato gran parte delle mie sovrastrutture mentali che usavo per categorizzare e valutare le persone. Ora sono molto piu’ rilassato perche’ sono conscio dei confini entro i quali e’ lecito dare giudizi. Il mondo e’ grande, e ha le spalle larghe abbastanza per ospitare e dare dignita’ a milioni di modi di vivere. Ora mi sento di percepire le persone in base al comportamento che hanno verso il prossimo e verso il nuovo. D’altra parte, ora sono molto piu’ capace di comunicare cosa non va, sia nel mio rapporto con gli altri che nel rapporto tra altri. Ho imparato a conoscere i bisogni altrui di chiarezza, a saper leggere le persone, a saper bisticciare e ad individuare in molto meno tempo il meglio e il peggio di me stesso e degli altri, qualcosa che onestamente prima del reality ero capace di fare molto poco. Fortunatamente questa evoluzione si e’ ben integrata con i miei gusti innati. Il reality non ha cambiato i miei obiettivi personali. Ho continuato a fare quello che sapevo fare e molto probabilmente la mia carriera lavorativa e musicale sarebbe stata la stessa anche se non fossi andato su Italia 1. Eppure, e’ cambiato il modo in cui ci sono arrivato, e sono contento sia andata cosi’. Ecco, magari e’ stato un modo un po’ avventuroso di maturare, e la visione della nuova stagione me l’ha ricordato nel piu’ strano e curioso dei modi.
P.S. chissa’ come andra’ a finire questa nuova stagione! Io tifo per Massa e Marina.
La somma delle storie
Prodromo:
Spesso mi ritrovo ad essere completamente insofferente verso le persone che distorcono concetti fisici difficili da capire per dare un che di esotico ai loro parti mentali. Campione indiscusso in questo senso e’ il povero bistrattato entanglement, citato a sporposito da chi vuole ammantare di fondatezza e comunione con la natura concetti come la telepatia o l’intelligenza collettiva degli esseri viventi. La lista e’ ben lunga: purtroppo la lezione piu’ dura da imparare per chi ha veramente capito questi concetti e’ il limite della loro applicabilita’ dettato dalle ipotesi e dalle condizioni al contorno. A tal proposito, mi e’ venuto in mente un modo carino di presentare i miei pensieri di stasera: prendero’ due concetti esotici e dal grande contenuto romantico e li portero’ lontano dal loro range di applicabilita’ e fondatezza per metterli in contrapposizione, per il gusto di dimostrare per l’ennesima volta che tutto e’ possibile se non si sa di cosa si sta parlando. Oggi e’ il turno della teoria dei multiversi e della somma delle storie di Feynman. Abbiate il coraggio di seguirmi.
Sono piuttosto bravo nel cercare di tenere i contatti con persone un tempo vicine e che la vita sta portando su strade che pian piano divergono dalla mia. Periodicamente cerco di organizzare un aperitivo, una cena, anche solo una chiacchierata in chat, sufficiente per avere le news piu’ fresche e, piu’ essenzialmente, perche’ stavo bene quando trascorrevamo piu’ tempo insieme. Ultimamente pero’ mi capita qualcosa di particolare in testa quando ascolto le solite, ma mai uguali storie che ci si racconta in questi casi. Sostanzialmente, mi rendo conto che assomigliano sempre di piu’ a delle conclusioni, a dei punti fermi nella vita. Sono storie e vite di cui cominci a intuire la fine, quantomeno a grandi linee. C’e’ quello che e’ stato assunto a tempo indeterminato li’. Oh guarda, sai che Tizio si e’ sposato e ha messo su famiglia (magari a 10000 km da casa)? Senti di quell’altro, ha una tale tavolozza di abitudini da restarci impigliato. Allora riavvolgi il nastro, e ti dici: ma come si e’ arrivati a questo? E, in modo piu’ inquietante, ma come mai non e’ successo altro?
Cosi’, mentre le tue orecchie catturano le parole altrui e i tuoi occhi indugiano sul bicchiere vuoto, parti per la tangente. In fondo mi ricordo questa o quella persona fatta in un certo modo. Si stava bene quando si giocava, si era in classe, si usciva con gli amici. Perche’ ci si distacca, e invece magari non e’ successo qualcosa di diverso. Perche’ non siamo diventati amici per la vita, o compagni e compagne di cento altre cose, o non si sono sviluppati certi sentimenti, congelati come embrioni. Pensare alle occasioni perse non fa mai bene, quindi ho rovesciato il paradigma: non sono occasioni, sono solo percorsi. E avanti ancora coi pensieri.
C’e’ una teoria fisica, quella del multiverso, che suppone l’esistenza di un numero sconfinato di universi paralleli al nostro, figlia di quell’Interpretazione a molti mondi di quasi sessant’anni fa. Essa e’ legata al problema della misura, e dice che ogni misura di uno stato prima indeterminato divide la realta’ in vari percorsi indipendenti, in ognuno dei quali e’ avvenuto un risultato diverso della misura. E’ un po’ come quando in Ritorno al Futuro II il vecchio Biff torna indietro nel tempo e crea una nuova linea temporale dando l’almanacco al giovane Biff. Puff! Il passato che ricordi non c’e’ piu’, sono accadute altre cose. E chissa’ cosa sarebbe accaduto tra me e i miei amici, se avessimo deciso diversamente nel passato. La teoria ti da’ una speranza, dopo tutto. Magari e’ tutto vero, magari in giro, chissa’ dove! c’e’ la storia di te che hai compiuto mille altre scelte, infiniti cloni che percorrono tutti assieme contemporaneamente gli infiniti bivi della vita. Ci pensi perche’ sei curioso di sapere come sarebbe andata a finire, sicuramente in modo sostanzialmente diverso da quanto intuisci che sta accadendo qui, in questo singolo universo.
Tornando a casa, poi – l’effetto dell’alcol sui trentenni, gia’ esemplificato qui, a parer mio dovrebbe essere studiato meglio – ho pensato che il punto di partenza, il motore di tutto questo, e’ sbagliato. Io, come molti altri credo, non mi pento affatto delle scelte che ho fatto. Mi piacciono le tante cose che faccio, le persone che amo, la famiglia che ho e il futuro che mi si prospetta. E’ come se la configurazione ottima si fosse creata al netto, quasi come risultato finale di tutti quei bivi. D’un tratto tutto mi suona come gia’ pensato: e’ la somma delle storie di Feynman! Tutte quelle possibili descrizioni del tuo io sono collassate secondo un principio di minima azione. L’integrale di tutte queste sul tuo cammino ti ha portato ad essere quello che sei, inevitabilmente. La cosa bella poi e’ che non c’e’ destino o disegno intelligente, come qualcuno potrebbe credere: e’ il numero di sottogruppi di cammini che si assomigliano a generare punti stazionari e in sostanza a farteli percorrere. Questo pensiero, questa consapevolezza, mi ha fatto sorridere. Essere trentenni e’ utile perche’ e’ il primo periodo della tua vita in cui puoi vedere i punti stazionari della tua vita e di quella degli altri. Ti nasce anche una gratitudine speciale verso tutte quelle persone che ricordi e che incontri di rado, ma periodicamente. In fondo, ognuno e’ nel posto in cui e’ oggi per le scelte che anche gli altri hanno fatto e che hanno condizionato inesorabilmente la probabilita’ che certi cammini si avverino.
Diario – Rio de Janeiro
La settimana scorsa sono stato a Rio de Janeiro per una conferenza. Come gia’ fatto in altre occasioni, ho pubblicato su facebook un diario delle cose strane e curiose che mi capitavano. Lo raccolgo qui, per rileggerlo tutto d’un fiato nei momenti futuri di nostalgia. Attenzione: e’ in dialetto triestino.
1) Dall’aereo Rio de notte (son atterra’ ale 4 de matina) xe’ scintillante. Ma nel vero senso dela parola. O i ga problemi de corente, o i ga dimentica’ tutti de cavar le luminarie de nadal.
2) L’accoglienza brasiliana me fa za sentir a casa in aeroporto. Scale mobili che no funzia e nastro bagagli setta’ sul “fraca che sta tutto”.
3) In autostrada a un certo punto iera tipo 50 troie ferme a lato (autostrada!) e subito dopo due bus de linea fermi e cento de lori che smontava. Questo xe’ quel che se ciama un puttantour!
4) L’albergo che go ciolto xe’ su un’isola pedonale nella laguna de Barra Da Tijuca, ghe se riva solo in barchetta pagando 1.50 real (mezzo euro)
5) i bus vien guidadi, come dir, grintosi. L’autista ga brusa’ 3 fermate perche’ iera a 80 in una strada sconnessa e no rivava a frenar.
6) a Ipanema ale 8 de mattina xe’ tutti che cori o fa esercizi nele stazioni de fitness. Tutti. Compresi i veci col cardigan a rombi. “Ucio, coverzite che fa fredo, te ga una certa eta’” “va ben Nerina, vado corer e me porto el cardigan”
7) A Copacabana iera onde de 2-3 metri che fa un rombo assurdo e babe che se allena a beach volley co l’allenador che usa la stessa tecnica de quel de mila e shiro. Balonade fortissime in muso.
8) Esisti la version brasiliana del McDonald’s, el Bob’s. I prezzi xe’ uguali, ma almeno i ga un funcionário revelação del mese che xe’ un incrocio fra Neymar e un ergastolano diciottenne in liberta’ vigilata.
9) Go prova’ a andar al porto e ordinar riso e fagioli per 8 persone, ma i me varda tutti mal.
10) per gaver accesso al wifi in metro me son firma’ come Antonio Coimbra de la Coronilla. Y Azevedo no ghe stava.
11) Anche qua i espressi xe’ pieni fin l’orlo. Scagazao meravigliao.
12) Esisti due robe per cui i brasiliani fa la fila: i autobus e le ricevitorie del lotto. Ma file de 50 metri! Soprattutto per el lotto.
13) Se i autisti brasiliani xe’ grintosi, la loro nemesi xe’ i pedoni. La gente camina tranquillissima quando devi traversar la strada, gnanca pel cul se passa 200 auti a tutta forza a un metro de distanza.
14) Par de no, ma Rio xe’ caretta. Le uniche robe che costa poco xe’ la cachaca e i taxi. El scatto iniziale dei taxi xe’ tipo un euro.
15) Ieri sera son anda’ in giro con ex colleghi e i me ga’ presenta un essere mitologico meta’ Michele Zazzara e meta’ Alain TheLone. Impressionante. El minotauro ghe fazeva una sega.
16) Ieri sera, dal terrazzo de una discoteca, go visto per la prima volta in vita mia tante stelle dell’emisfero australe. Canopo, Achernar, Fomalhaut, tutta la Carena, la Fenice, la Gru. Se no iera per Orione messo a testa in zo gavessi avu’ difficolta’ a orientarme. Xe’ 20 anni che aspettavo sto momento.
17) El modo migliore per mimetizzarse fra i brasiliani xe’ vestirse con una qualche maietta de una squadra de balon. Visto che solo Rio ga diverse squadre nella massima serie, ghe ne xe’ un’infinita’, quindi va ben veramente qualsiasi maietta de una qualche squadra, anche quela del Ponziana.
18) Continua la mia ricerca de tutti i nomi della Algida nei vari paesi del mondo. In Brasile se ciama Kibon.
19) Ieri sera xe’ scatta’ l’aperitivo de benvenuto sulla terrazza dell’hotel. In riva al mar. Col tramonto de fronte. Con caipirinhe illimitate e i camerieri che portava gnocchetti de formaio fritti.
20) La pericolosita’ dei quartieri de rio se misura dalla quantita’ de pattuglie coi lampeggianti rossi per ettaro. El quartier in cui son xe’ a medio-bassa periocolosita’, visto che xe’ strapien de case de lusso con guardie private e cancei giganti. 1 pattuglia ogni 3-4 ettari. Sabato sera iero a Lapa, dove go visto 3 pattuglie per ettaro. Una ogni 60 metri circa. E con sto popo’ de polizia qualche casin succedi comunque, appena xe’ un vicolo sconto.
21) Xe’ la prima volta che i speaker durante i talk i xe’ un po’ restii a mostrar le foto della citta’ dove i lavora. De solito se fa per attrar gente, e a volte funziona. Peca’ che fora de la porta qua xe’ 13 km de spiaggia oceanica, la laguna de drio, palme e caldo tutto l’anno.
22) Nelle conferenze de fisica ogni tanto capita dei fenomeni incapaci de parlar al pubblico che scambia el microfono per un laser pointer o el testimone dela 4×100. E cusi’ i te da’ una dimostrazion pratica dell’effetto Doppler, sempre apprezzada dai fisici in sala.
23) La prima presentazion in Comic Sans xe’ stada l’ottava. Pena xe’ comparsa ghe xe’ stadi due infarti, tutti i microfoni dei speaker in larsen, un caso de cecita’, un attacco epilettico a meta’ talk e una mia combo de bestemmie che se ga gira’ anche el Cristo Redentor sul Corcovado per farme l’occhiolino.
24) Motivi per cui sto albergo ga 5 stelle: el buffet del pranzo. IMPRESSIONANTE! Roba de buttarse per tera. Batti anche quel che gavevo a Hong Kong.
25) Motivi per cui sto albergo no se merita le 5 stelle: i fa un buffet cusi’ presidenziale e quando te va in bagno per “processarlo” no xe’ lo scopettone del cesso. Stricade come in una pista de atterraggio per mosche.
26) Ragazzi, no pode’ capir come che certi brasiliani parla inglese. In confronto Ronaldo iera un poliglotta. Fa morir de rider.
27) Nelle presentazioni de fisica esisti un dizionario tutto speciale, noto solo ai addetti ai lavori. Qualche esempio. You see it clearly = no se vedi un cazzo. As you may notice = no gavevo coioni de renderlo piu’ evidente mentre fazevo le slides. I acknowledge the contribution of = no xe’ un’idea mia. We shall conclude that = sparo a cazzo una spiegazion assurda.
28) I me ga estratto a sorte e go vinto una visita pagada al Corcovado. Quando se disi el destin.
29) I brasiliani ga una predilizion per i nomi italiani de aggiunger per render piu’ esotico qualsiasi roba. El chiosco in riva al mare se ciama “Tirreno” (in riva all’Atlantico, sia chiaro). El pollo se ciama “alla piemontese”. Full de galine a Torino…
30) Fra un mese ghe xe’ le elezioni in brasile e xe’ tutto un fiorir de cartelloni in giro con volti orendi (el mio preferito xe’ Andrè Lazaroni) e volantinaggio de minorenni che canta canzoni per strada tipo colonia cattolica in favor de questo o quel candidato.
31) In spiaggia anche de ste parti xe’ quel povero cristo che gira a vender robe, ma no vendi cocco. No, el maggior business xe’ nel vender confezioni de chilo de biscoit du globo. No so che cazzo xe’, no steme chieder.
32) El mato che ga fatto el talk prima del mio se ciama Braulio Archanjo. Difatti gaveva un inglese simile a quel che te parli dopo una bottiglia de Braulio.
33) Xe’ incredibile come alcune volte persone che xe’ abituade a controllar el minimo dettaglio nel proprio lavor e far la punta ai stronzi, se comporti poi come un pascolo de gatti quando xe’ de far la foto de gruppo. L’incubo de chiunque gabbi OCD.
34) La cena della conferenza la gavemo fatta de Porcao. No pode’ capir. Buffet gigante de robe fredde, buffet gigante de cucina giapponese, buffet gigante de dolci e 30 valenti camerieri che gira i tavoli ognidun con un spiedo lungo un metro e tochi de carne de 1 kg l’uno. Il tutto illimitato. Me vegnera’ tipo tre tenie.
35) Dopo el mio talk un’amica italiana me ga ditto che son sta bravo e che go l’atteggiamento da stronzissimo, “tanto xe’ come che digo mi, no sta romper i coioni”. Bene.
36) Finalmente son anda’ sul Corcovado per davvero. A 710 metri d’altezza te ga una discreta vista… O_O i mati ga costrui’ dappertutto con zero criterio e asfaltando a tutta forza, e noi che se preoccupemo de una villa in piu’ in costiera. E no sto parlando dele favelas.
37) Ieri sera a Copacabana se ga alza’ un ventaz che dopo 10 minuti go dovu’ girarme e camminar storto perche’ la panadura de sabbia iera ormai completa de un lato.
38) Ultimo plenary talk fighissimo, me lancio per far una domanda e mentre parlo me squilla el cellulare con un MACHEOOOOOOOH mosconiano. Prima volta in vita mia. Spero de no gaver inverti’ bestemmie italiane e parole inglesi tra pensiero e voce mentre continuavo la domanda, perche’ no capivo piu’ un zoca.
39) Go visto Braulio parlar con un prof de Pittsburgh. Gaveva una faccia, povero. No capiva una banana de quel slang stretto del prof. O sara’ sta el braulio?
40) Ultima sera in giro per Lapa, tutti i taxi che gavevimo ciapa’ gaveva la tv su schermetto da 7″ e tacada in bomba sull’impianto stereo. Ai tassisti par normal vardarse l’ultima telenovela in dolby 5.1 mentre se guida nel traffico de Rio. Meno mal che su Topazio no xe’ scene de sparatorie o aerei che atterra, se no diventavimo sordi.
41) Nonostante tutto el traffico gigante de rio, go visto ciclisti che lasa libera la pista ciclabile a lato (deserta) e preferisi pedalar tra i auti in fila. Ma che cazz?
42) Ieri notte semo finidi a una mostra de arte moderna in una fabbrica abbandonada, con pitture alte 6 metri nel salon centrale e sulla balaustra tutto attorno al pian de sora iera concerto jazz, bar, ristorante e piccoli atelier de una 30ina de artisti che vendeva robe. Ufo.
43) Ai brasiliani piasi esordir con “buona notte” anche quando xe’ le 7 de sera.
Sull’inadeguatezza
E’ interessante come a volte i libri che si leggono si adattino cosi’ bene ad un preciso momento della tua vita. Questa volta e’ capitato ad un libro per certi versi sorprendente, uno di quelli di cui a grandi linee sai gia’ la trama, ma che si fa amare per i dettagli. Il seguente citato e’ tratto da “Atomi in famiglia”, la biografia di Enrico Fermi scritta dalla moglie Laura quando lui era ancora in vita. Parla dell’inadeguatezza nei rapporti di coppia, e oggi e’ proprio li’ che voglio andare a parare. Avviso: il post sara’ bello lungo.
[…] Questo suo primo sproposito clamoroso avrebbe dovuto convincermi che l’infallibilita’ non e’ di questa terra. Ma Enrico esprimeva sempre opinioni cosi’ sensate, si atteneva a giudizi cosi’ razionali che lo ritenevo capace di esser mai dalla parte del torto. I fatti mi davano in genere ragione: Enrico aveva una straordinaria capacita’ di pensare prima di parlare, di pesar le parole, di non dire cose di cui non fosse piu’ che sicuro.
Di fronte a tanto equilibrio mentale, si sviluppo’ gradualmente in me un’esagerata consapevolezza della mia ignoranza, una ferma convinzione che le mie opinioni non avessero valore alcuno. Questo senso di inferiorita’ veniva ribadito una domenica dopo l’altra, quando andavamo a passeggiare con gli amici. Emilio Segre’, nato e cresciuto a Roma, aveva altri conoscenti e raramente si aggregava a noi. Ma Rasetti e Amaldi erano sempre disposti a fare una camminata. Quando Fermi e Rasetti insieme si trovavano in compagnia di ragazze, le tormentavano con l'”esame di cultura generale”. Cornelia se la cavava con una risata, come se le domande non fossero indirizzate a lei. Maria Fermi, giovane seria e tranquilla, dotata di una profonda cultura letteraria, rivolgeva agli esaminatori un sorriso vago e tollerante. Gina Castelnuovo, Ginestra e Io eravamo invece le vittime predestinate.
[…]
Fermi mostrava un’indubbia abilita’ a orientarsi e a risolvere problemi posti da lui stesso o da altri. Rasetti aveva una riserva illimitata di nozioni assortite: le regole monastiche dei Lama del Tibet; l’orario dei treni di tutta Europa; i nomi latini di tutte le piante e di tutti gli insetti che trovavamo per via; i cambi di tutte le monete straniere. Onniscienza e infallibilita’! I due ci facevano diventar matte.
[…]
Del complesso di inferiorita’ acquistato in cosi’ colta compagnia guarii improvvisamente pochi anni dopo. Un’estate, mentre Enrico era in viaggio in America, passai qualche giorno sulle Alpi, a Gressoney, con mia sorella Paola, col marito Piero Franchetti, e con un gruppo di loro amici. […] Con mia grande sorpresa mi accorsi che con tutta questa gente parlavo da pari a pari, e, soprattutto, che essi mi facevano domande e ascoltavano le mie risposte con apparente attenzione. Nessuno ridacchiava o si faceva burla di me quando aprivo bocca.
Qualche anno dopo completai la mia rivolta contro i tiranni dell’intelletto e venni alla conclusione che la sicurezza di se’ non e’ necessariamente indizio di sapere. Era il 1940, e ci eravamo stabiliti negli Stati Uniti. Rasetti venne a trovarci, e insieme andammo a Washington in automobile per un congresso di fisica. A circa meta’ strada fra New York e Washington, Enrico, che coglieva tutte le occasioni per sfoggiare davanti a me la sua piu’ profonda conoscenza dell’America, mi disse:
– Stiamo attraversando la linea Mason-Dixon.
– E che e’ questa linea? – chiesi.
– Pazzesco, non sa nemmeno che… – comincio’ Rasetti.
– La linea Mason-Dixon e’ quella che divide il Nord dal Sud degli Stati Uniti – mi spiego’ Enrico.
– Ma che sorta di linea e’? Immaginaria? una linea fatta da chi o da che cosa?
– E fatta da due fiumi, il Mason e il Dixon – rispose con gran sicurezza Rasetti.
– Macche’ fiumi! Ti sbagli della grossa! Mason e Dixon erano due senatori americani, uno del Nord e uno del Sud.
Scommisero un dollaro. Charles Mason e Jeremiah Dixon erano due astronomi inglesi. Ma Fermi volle il dollaro “perche’ gli astronomi inglesi potrebbero anche diventare senatori negli Stati Uniti, mentre due fiumi… mai”.
E cosi’ fini’ il mito dell’onniscienza di Rasetti e dell’infallibilita’ di Fermi.
Ecco il tema: la nascita e l’evoluzione dell’amore in due persone cosi’ diverse. Il libro e’ un meraviglioso esempio di due persone che hanno condiviso una vita insieme. Laura Fermi, piu’ giovane di suo marito di sei anni e all’epoca del secondo e decisivo incontro studentessa diciannovenne di scienze naturali quando Fermi gia’ insegnava all’universita’ (a 25 anni!), ha davvero vissuto quel complesso d’inferiorita’ che ti fa dire “ma io che c’entro con uno cosi’? come posso piacergli? cosa ci trova uno come lui in una come me?” Una situazione davvero difficile, contando anche il fatto che – secondo quanto lei stessa riferisce – Enrico Fermi sapeva veramente e naturalmente essere una pigna in culo. Per dire, la prima scena della biografia si conclude con la seguente, perentoria frase: “Fu il primo pomeriggio che passai con Enrico Fermi, e l’unica volta in cui riuscii meglio di lui”. Eppure improvvisamente questo senso di inadeguatezza sparisce quando si rende conto che non e’ infallibile, che e’ umano come tutti e reagisce agli sbagli come tutti. E paradossalmente lei se ne innamora ancor di piu’, dimostrando in seguito di saper fare un sacco di cose e di non essere da meno, a modo suo. Scrivera’ un libro divulgativo di fisica assieme a Ginestra Amaldi, “Alchimia del tempo nostro”, spronata dallo stesso marito. Sara’ perfetta compagna alla cerimonia del Nobel nel 1938, e racconta di come danzo’ col principe Gustavo Adolfo. Sapra’ farsi valere come moglie e come madre quando abbandonarono l’Italia per gli Stati Uniti a causa delle leggi razziali, soprattutto nel periodo in cui Fermi era implicato nel Progetto Manhattan e si dovettero spostare prima a Chicago e poi al Sito Y. Insomma, anche se non detto alla fine si capisce perche’ Enrico Fermi l’ha presa in moglie. Ciononostante non conosciamo davvero la sua versione, o meglio, i pensieri che scorrono nella mente di colui che e’ dall’altra parte. Non se ne parla mai, eppure e’ un problema simmetrico. Quindi e’ ora di fare coming out, lasciando da parte le ipocrisie.
Lungi da me paragonarmi come modi e abilita’ a Enrico Fermi, ma io mi trovo sempre dall’altra parte, la sua parte. E quando dico sempre, intendo proprio da quando ho memoria. Ho imparato da solo a leggere, a scrivere e a far di conto a due anni e mezzo, e da quel momento in poi sono stato bombardato da frasi tipo “ma quanto sei intelligente” o “sei davvero piu’ bravo degli altri”. Tutta la vita cosi’, con l’ovvio riflesso che per trent’anni ho dovuto avere a che fare con persone che non perdevano occasione di sminuirsi nei miei confronti, di mostrare soggezione. Succedeva quando ero bambino, quando non mi impegnavo mai e sapevo poesie a memoria, o studiavo monomi e polinomi da solo mentre gli altri erano fermi alle parentesi graffe. Succedeva da adolescente, quando ho imparato cosa mi interessava davvero, dall’astronomia cominciata a 10 anni alla musica, e fanculo il resto. Succedeva da 20enne, quando per l’esame piu’ duro che ricordi a fisica ho studiato per “ben” 9 giorni, e passavo il resto del tempo a fare mille altre cose. E succede pure adesso. Intendiamoci, io so di essere bravo – o quantomeno sopra la media – in quasi qualunque cosa io faccia, e non su scala rionale, ma su scala continentale. Anche nei miei anni all’estero, stessa identica cosa, non voglio mica nascondermi dietro un dito. E non sarebbe nemmeno onesto sminuire la cosa per sembrare umile. Pero’ quella in cui vivo io e’ una psicologia di cui non si parla mai. Nessuno sa cosa significa essere preso d’esempio continuamente e per tutta la vita, anche nei momenti in cui non vorresti proprio, e anzi vorresti scomparire dietro il bavero della giacca e dire sottovoce che in fondo le sensazioni che provi non possono essere troppo diverse da quelle degli altri, e che anzi sotto sotto i bisogni che hai non sono cosi’ distanti da quelli che vicino a te si sentono in un modo o nell’altro inadeguati. Allora, stretto tra la lettura di questo libro e una vicenda personale e dolorosa che non vi raccontero’, vi svelero’ un piccolo tassello del mosaico, vi diro’ come la vedo io quando sento di essere attratto da una persona che a prima vista non puo’ pareggiarmi.
Il fulcro di tutto non e’ il risultato, ma l’atteggiamento. A me non interessa confrontarmi sulla scala assoluta, e non perche’ nel 98% dei casi a conti fatti vinco io. Quelli dall’altra parte della barricata, quelli per cui la domanda “ma io che c’entro con uno cosi’?” e’ rivolta sapendo che, se tra i due c’e’ una certa distanza, sei tu quello davanti, ecco quelli aspettano solo qualcuno che non abbia paura di trascinare e farsi trascinare altrove. Davvero, non importa a colui che sa fare se l’altro non sa fare. Quello che conta e’ capire se l’altro imparera’ a fare, e si liberera’ dei suoi blocchi anche grazie alla tua vicinanza. Poco importa se, come nel caso di Fermi, uno scopre le reazioni nucleari tramite neutroni lenti e l’altra scrive solo un libretto divulgativo. Poco importa se uno e’ gia’ esperto in tante cose e l’altro e’ alle prime armi. Chissenefrega se a uno riesce le cose in tempo zero e ha una forma mentis calma ed efficace, e l’altro ha bisogno di eoni e scleri per ricavare o anche solo pensare a qualcosa di dignitoso e ordinato. Perche’ alla fine chi come me sta spesso davanti non aspetta altro che concentrarsi su qualcuno, e dimenticarsi del fatto che la societa’, gli amici, i conoscenti, tutto il mondo fuori guarda te come esempio da seguire, come modello e come ispirazione, pur non capendo una mazza delle sensazioni che ci stanno dietro. Il mondo e’ davvero sintonizzato in modo da far sembrare normale colui che sta dietro a prescindere, e cosi’ ti capita di dover combattere una battaglia extra se stai davanti. Per una volta, si vorrebbe davvero barattare il ruolo d’esempio per poter vuotare il sacco liberamente, per poter crescere assieme al partner nell’unico aspetto che senti mancare dentro di te, il confronto al netto dell’ipocrisia, e scoprire alla fine di essere uniti non dai risultati raggiunti e dal loro equiparamento, ma dallo sforzo fatto insieme e dalla gioia del successo altrui. Una sorta di dimensione extra, unico luogo della vera unione tra due persone e nella quale le distanze stabilite dalla vita nelle dimensioni ortogonali non hanno poi cosi’ importanza. A un giocatore forte non interessa avere vicino qualcuno che sappia giocare forte quanto lui, ma che voglia imparare le regole, che si interessi di quando l’altro gioca forte e che abbia voglia di provare giochi nuovi, insieme. E ci son sempre giochi nuovi da provare.
Alle volte mi chiedo come mai questo sia cosi’ difficile da capire per chi si sente inadeguato verso il basso. Forse che questi pensieri, che davvero non riesco a credere non si materializzino nelle menti degli altri, vengono sormontati dalla differenza che c’e’ tra due persone? Sara’ la fatica che tutto cio’ comporta? Sara’ la paura? In fondo l’atteggiamento di cui parlo e’ anche e soprattutto un atteggiamento di coraggio. Ci vuole forza e sicurezza per non farsi prendere dal sentimento di inadeguatezza. E spesse volte accade che quelle poche persone di cui io intuisco la forza non ne siano veramente consce. E’ una cosa che mi manda in bestia e allo stesso tempo mi fa sciogliere, come cogliere un fiore non cresciuto abbastanza. Alla fine, il coraggio che serve per sconfiggere la sensazione di inadeguatezza e’ duplice: bisogna essere audaci nel non curarsi della distanza, ma cercare la dimensione ortogonale pur sapendo delle vertigini, e bisogna avere il coraggio di guardare dentro se’ stessi e capire di avere abbastanza forza dentro. Laura Fermi era una donna forte, e sono sicuro che suo marito sapesse il perche’ il loro amore ha saputo sconfiggere l’inadeguatezza al prim’ordine che c’era tra loro.
Masturbazioni musicali pt. 2
Talvolta e’ bello fare il lavoro degli altri
Il gregario, ovvero sull’essere soli stando in compagnia, e sentirsi tutto sommato felici
Questo weekend sono andato a vedere un concerto di una cantante che conosco e che mi piace. Ultimamente cerco di vedere piu’ concerti possibile, se non altro per riacquistare la sensibilita’ musicale che avevo un tempo e che ora mi serve come l’aria. Dopo il concerto, tra una chiacchiera e l’altra, lei mi confessa che le piacerebbe fare cover di un sacco di cantanti famose, di cui pure io apprezzo molto la musica. WOW, penso, sarebbe davvero bello suonare la musica che piu’ ci comunica qualcosa, e condividerla con altri. Anche a me, da bassista, piacerebbe. Su questo pensiero mi si adagia la mente per tutto il weekend, fino a oggi. Il lunedi’ e’ tipicamente il giorno in cui le cose pensate nel weekend prendono una botta forte, di lato, e spesso si incrinano. Ma perche’ io, da bassista, dovrei essere contento di fare canzoni nelle quali e’ la voce a trasmettere le maggiori sensazioni? Altra partenza per la tangente! Maledette tangenti, non sai mai se partono verso l’esterno, pindaricamente, o verso l’interno, per colpire il nervo nascosto. Comunque, ecco quello che ne ho ricavato.
Io sono un gregario, e sono tutto sommato felice di esserlo. Ogni volta che penso a questa cosa un pezzo dopo l’altro della mia vita ne viene inquadrato, avvolto. Va tutto al suo posto, con questa definizione. La musica, ad esempio. Alla fine ogni strumento e’ un vestito che ci si sceglie di mettere addosso, piu’ o meno consapevolmente, e la vetrina nella quale si vede il capo e’ la musica che si ascolta. Ogni strumento si adatta meglio al modo di comunicare, e non sorprende il fatto che praticamente tutta la musica piu’ coinvolgente verte soprattutto su cantanti, tastieristi e chitarristi d’eccezione. C’e’ poco da dire, il pubblico le fruisce meglio. Cosi’ chi intraprende questi strumenti ha una maggiore possibilita’ di comunicare le sensazioni di un misero bassista. Tutti farebbero la fila e sarebbero lieti di pagare un biglietto per avere in cambio una linea vocale eseguita bene o un assolo emotivamente coinvolgente. Io invece non avro’ mai questa fortuna. Non solo perche’ personalmente le canzoni con solo assoli ipercomplicati di basso mi fanno cagare, ma anche e soprattutto perche’ le canzoni in cui tu, bassista, puoi dire qualcosa, o colpiscono poco al cuore il pubblico, o sono in realta’ dominate dagli altri strumenti. E allora che motivazione c’e’ ad essere bassisti, a cacciarsi in un frame in cui tu non sei e sarai mai al centro dello schema?
Un altro esempio e’ lo sport. Ormai da sempre gioco in porta, a pallamano da agonista e a calcio da amatoriale. Quello del portiere e’ un ruolo monco. Non puoi far vincere la tua squadra, il tuo scopo e’ solo quello di non farla perdere. Uno scontro in cui i portieri giocano partite eccezionali finisce zero a zero, e alla fine del campionato i Palloni d’Oro sono sempre vinti dall’attaccante. Nessuno giochera’ per farti fare piu’ parate, ma dovrai sempre essere tu bravo a sventare le azioni altrui e lanciare l’attaccante nella porta avversaria. Ancora l’indole del gregario. E dopo aver pensato questo, ecco che mi si rincorrono nella mente mille altri aneddoti. Mi piace fare da master nei giochi di ruolo e di comitato. Mi offro volontario per lavare i piatti il giorno dopo capodanno. Mi sta bene restare tutta la notte in laboratorio a pulire il campione. Potrei andare avanti parecchio, e – cosa importante – in nessuno di questi casi mi sono mai pentito della scelta. Il perche’ e’ presto detto.
Il punto e’ che un gregario gode nell’essere tale, perche’ la felicita’ del leader e’ troppo plateale per soddisfarlo. Io sono felice quando suono pezzi nei quali gli altri strumenti risaltano, c’e’ poco da fare. Ma non per altruismo, per paura della leadership o perche’ mi crogiolo con pensieri tipo “senza di me questo non sarebbe stato possibile”. E’ piu’ una questione di accorgersi del nascosto. Il gregario sta attento ai dettagli che gli altri non colgono, e’ quello il suo lavoro, e piu’ c’e’ in giro gente che non coglie, meglio e’. Tante volte dopo i concerti la gente mi ha fatto i complimenti per come suono, e dentro di me ho sempre pensato che in realta’ anche coloro che si congratulano abbiano capito meno della meta’ del lavoro che ho fatto. Tante volte mi dicono che ho giocato bene, e dentro di me penso che mi ricordano solo per l’episodio difficile, e non per le parate facili o per il rilancio fatto bene. E’ il lavoro in se’ che e’ gratificante, ben piu’ del riconoscimento sociale successivo. Trovo che sia una gioia molto piu’ personale, intima, e di pari dignita’. Un qualcosa che resiste alla fama del momento, al successo del singolo evento, che non dipende dall’umore altrui. Ti spinge il piacere del nascosto, del fare il lavoro di fino quando tutti lo interpretano come grossolano, ma efficace. E’ come mantenere un segreto, ed agire in coerenza con esso senza farti scoprire. Perche’ in fondo non menti, quando dici agli altri che ti piacerebbe suonare canzoni di cantanti famose. Puoi tornare a casa soddisfatto, per un motivo in piu’ che gli altri non potranno mai conoscere.
KW35
Scientific American ha recentemente pubblicato una mappa dei cibi in funzione dei loro componenti relativi.
Se mai vi capitasse di essere curiosi su come una mente molto ben organizzata puo’ pianificare ed elaborare il proprio suicidio, potete leggere il testamento intellettuale di Martin Manley, morto suicida il giorno del suo 60esimo compleanno lo scorso 15 agosto. Grazie a PT per la segnalazione.
Lo Stick e’ uno strumento a corda che si suona interamente in tapping e a due mani. Ha un range di applicazioni sorprendente e una versatilita’ simile a quella del pianoforte. Per meglio capire, guardatevi questo video.
Ogni 33 anni, il passaggio della cometa Tempel-Tuttle genera una pioggia meteoritica speciale, le Leonidi, attorno al 17 novembre. In teoria, puo’ raggiungere un picco di frequenza di un paio di meteore al secondo. L’ultimo picco e’ stato nel 1999.
Qui trovate le mappe che avreste sempre voluto vedere, ma che nessuno vi mostra mai.
Lo tsunami di Lituya Bay, Alaska, e’ stato il piu’ alto mai registrato. Una frana in una baia chiusa ha provocato un’onda alta piu’ di mezzo km. Le foto dell’epoca sono alquanto esplicative.
Nel film Hard Boiled di John Woo c’e’ uno dei piani sequenza piu’ lunghi della storia del cinema di azione. 2 minuti e 40 secondi di spari, esplosioni sincronizzate, gente che muore, tutto in un unico take.
Mimetismi pt. 2
Hint: Se non hai letto la prima parte, comincia da li’.
Rileggendo il post precedente mi sono accorto di aver tralasciato, o quantomeno solo accennato, un aspetto importante dell’interazione tra persone. A dir la verita’ l’ho fatto quasi apposta, perche’ credo sia un argomento che meriti un post a se’. Si parlava dell’interpretazione di un ruolo quando si interagisce con un’altra persona, e di come questo sterilizzi e sovrascriva le tue vere opinioni – e di conseguenza le tue relazioni interpersonali. Trovo che questo accada particolarmente nei discorsi concernenti temi non strettamente personali, ma che comunque richiedono un impegno mentale relativamente elevato. Mi riferisco a discorsi di politica, religione, opinioni su questo o quell’avvenimento socialmente importante. Piu’ sento parlare la gente e piu’ mi convinco che, mano a mano che si va avanti nei discorsi, a un certo punto le persone vadano avanti per partito preso, come se ci si immedesimasse a tal punto nel ruolo preso nel discorso da esserne sopraffatti.
A me questo capita spesso. Ricordo distintamente tante volte in cui il discorso mi ha portato verso la difesa di posizioni che non ricalcavano completamente il mio sentire. A un certo punto entra il pilota automatico, che ha come primo obiettivo quello di essere coerente con quello detto in precedenza. E il pilota va, quasi fosse un esercizio di retorica sofistica, e ti porta consapevolmente alla deriva, verso nuove opinioni e posizioni inaspettate. Mi e’ capitato di vedere me stesso deviare verso punti di vista davvero distanti da quelli normali, immediati ed autentici, e di saperli difendere con soddisfazione. Piu’ sorprendentemente, dopo poco tempo accade che mi rendo conto coscientemente di aver creato un’immagine di me stesso, e di non avere alcuna reazione di stizza al riguardo. Anzi, ci godo quasi nella sensazione di vedere me stesso comportarsi come qualcun altro.
Come credo di aver descritto abbastanza bene nel post precedente, la motivazione di tale comportamento e’ molteplice: sapersi mimetizzare, oltre ad essere piacevole, ti aiuta a stare meglio da solo. In questo caso particolare pero’ c’e’ di piu’. I discorsi spesso sono lunghi abbastanza da permetterti di studiare metodicamente te stesso dal di fuori. Come guardando all’interno di un acquario, cosi’ io riesco a scoprire aspetti del mio interagire con gli altri che altrimenti non avrei mai notato. Una volta che il pilota automatico e’ inserito, posso scoprire quanto possa essere cinico e bastardo nel negare alcuni concetti che so essere intimamente giusti, quali sono gli aspetti e i particolari concetti che piu’ colpiscono me e gli altri in un discorso, a cosa si da’ piu’ o meno attenzione. Guardare un simulacro di te stesso in un contesto che non e’ il tuo, a difendere posizioni che non sono le tue, aiuta a capire quanto davvero le opinioni che credi siano le tue lo sono poi davvero. Lo si misura dal disagio che provi quando sai che quello che esce dalla tua bocca o dalle tue dita fa a pugni con l’immagine di te stesso che credi sia quella sincera. E tante volte scopri che questo disagio e’ minore di quanto ti saresti aspettato…
Pensandoci bene, questa esperienza ti aiuta ad investigare i contorni nebulosi dell’immagine che hai di te stesso. Per uno come me, che ha disagio nell’osservare le cose incerte e non farci niente, e’ una tentazione necessaria, al punto da riuscire a tollerare i lati negativi. Le informazioni raccolte sono talvolta preziose abbastanza dal giustificare questa violenza – perche’ di violenza si tratta – verso l’interlocutore, che magari si aspetta di parlare con una persona sincera al 100%. Ma alla fine poco importa, perche’ una persona che non sa se le sue opinioni sono davvero sue, nel senso di intimamente legate alla propria essenza, non potra’ mai essere sincera davvero. L’egoismo e’ un prezzo che merita pagare per conoscere meglio se’ stessi.
Mimetismi
Qualche giorno fa un’amica mi ha fatto una domanda alla quale non credo di aver risposto con onesta’. Eravamo in macchina e si parlava di quando si va fuori insieme, con altra gente, quando a un certo punto mi fa: “ma tu ti accorgi delle ragazze che sentono un po’ di attrazione verso di te? No, perche’ io me ne accorgo da diverso tempo, vedo come ti guardano e ti parlano, e tu non fai mai niente.” Pur sapendo perfettamente di cosa parlasse, ho preferito glissare con un “anche se fosse – cosa del quale a volte dubito – non sono interessato io per primo, quindi amen”, magari cercando pure di darmi l’aria di quello che la sa lunga e che ottiene cio’ che vuole. Mettiamo le mani avanti: questo non sara’ un post strappalacrime in cui mi dichiarero’ segretamente scontento della situazione e blablabla. Ho invece intenzione di essere un po’ spietato. Perche’ poi, quando ci siamo lasciati, ho cominciato a pensare quanto io sia bravo a mimetizzarmi nelle situazioni che non sono le mie, di come cio’ sia sterilizzante nei rapporti interpersonali e di come questo sia cio’ che voglio.
Quel discorso ha evidenziato una consapevolezza dentro di me, io so come dovrei comportarmi per raggiungere questo o quell’obiettivo. L’ho capito guardando gli altri, ed analizzando sistematicamente gli avvenimenti altrui. Cosi’ mi ritrovo a utilizzare spesso questa conoscenza e il sapere immedesimarmi per parlare con cognizione di causa di situazioni in cui francamente mi sono trovato solo marginalmente, e per non sentirmi come un pesce fuor d’acqua negli ambienti piu’ diversi. Ho imparato a fare di tutto, andare nelle discoteche piu’ in, come comportarmi nei raduni dei bikers o in megaconcerti metal, quali conversazioni tenere con ricconi che ti invitano su uno yacht da 90 piedi o ad una festa in un edificio occupato da squatters. Mi sembra di riuscire a percepire il ruolo che mi viene richiesto di coprire dall’interlocutore e dall’ambiente, e di poterlo fare. Mi capita di andare a delle serate di giochi, e di saper tenere una conversazione su un gioco specifico o su esperienze legate all’ambiente al punto da non sembrare l’ultimo arrivato. O di poter parlare di cosa si fa la sera qui o li’, e di far credere all’interlocutore che di esperienza ne ho avuto abbastanza da farmi identificare non solo come degno di ascolto, ma come uno che autonomamente ricerca esperienze simili, uno spirito affine. Quando ascolto confidenze amorose, capisco subito se la persona che mi sta davanti ha bisogno di qualcuno che ripeta le sue ragioni per fortificarle (davvero l’ABC del comportamento amicale, questo) e quando c’e’ invece bisogno del parere spiazzante, di parole contro. Un mix di esperienze altrui, buone doti di improvvisazione e di osservazione, e un pizzico di incoscienza. Tanto basta per difenderti degnamente in ogni situazione.
Alle volte ho l’impressione che assumere un ruolo od un altro sia per me quasi un lavoro. Non riesco a farne a meno. Il brutto e’ che questa attitudine va ben oltre. Quando mi chiedono opinioni su come io affronto le cose, o come gestisco le mie relazioni personali piu’ intime, l’istinto di mimetizzarmi prende il sopravvento, e dico cose non vere su di me per il piacere di non mostrarmi, senza curarmi del fatto che magari potrei essere sgamato nel farlo. Parto in automatico. E poi guardandomi indietro scopro di aver spesso mentito alla domanda “ma ti piace davvero questa cosa?” e mi sono pure chiare le ragioni per cui l’ho fatto e continuo a farlo. E’ sicuramente il piacere di sapersi adattare, una sfida continua che si gioca sui piu’ disparati campi. Sapersi trasformare, passare per quello che non si e’ se non in minima parte, e pensare ancora una volta di avercela fatta. Essere spietati polimorfi e’ una croce e una delizia. Ma dietro c’e’ pure dell’altro. In generale non ho mai sentito il bisogno di mostrarmi agli altri per quello che sono, perche’ ormai ho sostituito agli altri quello stesso simulacro di me stesso che mostro ogni volta che parlo con loro. A forza di interpretare questo o quel ruolo, riesco a capire, a prevedere, a simulare cosa una persona amica mi direbbe se le confidassi i miei veri pensieri. La persona artificiale che tu diventi quando gli altri parlano prende vita anche quando tu parli con te stesso, e ti aiuta nello sbrogliare le matasse di pensieri. E’ questo il livello piu’ elevato dell’essere soli, e dello star bene da soli? Avere la sensazione che gli altri non abbiano nulla da dire di piu’ di quanto tu possa immaginare da solo, essere schiavi della propria esperienza ed attitudine a tal punto da trovare il resto, quello che gli altri ti possono dare, insipido e scialbo.
Tutto questo getta ombre davvero scure sulle mie opinioni condivise con altri, e paradossalmente anche su quelle degli altri che mi sono state confidate. Cosa accadrebbe se, chi piu’ e chi meno, ogni persona sia capace ad un certo punto di assumere un ruolo, e di difendere un’opinione solo perche’ tale ruolo impone di farlo e perche’ si gode nel farlo? In fondo, un mondo in cui tutti siamo molto meno sinceri di quanto diciamo di esserlo, o molto piu’ attori di quanto siamo pronti a confessare, non e’ un brutto mondo. A parte la simmetria che rende il tutto piu’ giusto ed etico, questo pensiero fa capire come agli uomini potrebbe non interessare davvero la verita’ e la trasparenza al 100%. Spesso ci si accontenta di star bene solo grazie alla forma delle cose. Poco importa se i pensieri che ci fanno godere dell’essere vivi sono generati dall’interazione con simulacri invece che da persone sincere. Davvero importa che la risposta data alla mia amica non sia stata sincera?
KW25
Il vecchio aeroporto di Hong Kong, il Kai Tak, era anche uno dei piu’ pericolosi al mondo. La rotta di avvicinamento alla pista 13 era davvero un’avventura.
Tone Valeruz e’ uno sciatore estremo di Canazei, autore di molte prime discese sugli sci su pareti prima considerate impossibili. Questo e’ il video della sua discesa della Nord-Est del Civetta.
Nel 1925 un tornado ha provocato da solo quasi 700 morti nei suoi 377 km di percorso nelle pianure centrali degli USA.
Alla fine di marzo del 1941 a largo di Capo Matapan (Peloponneso) e’ avvenuta una delle piu’ grandi disfatte della Marina Italiana in tempo di guerra. Un interessante resoconto della vicenda si puo’ trovare qui.
Andre Geim ha preso il Premio Nobel per la fisica nel 2010, assieme a Kostja Novoselov, per la scoperta del grafene. La sua Nobel Lecture e’ davvero divertente.
David Rosenham, uno psicologo americano, una volta ha provato a far ammettere in alcuni ospedali psichiatrici gente sana che millantava problemi psichici. Ovviamente a tutti sono stati diagnosticati disturbi di vari tipi, e quasi tutti rilasciati – dopo la confessione del tentativo – con schizofrenia in remissione.
Il gioco degli specchi
Spesso nella mia vita mi ritrovo ad essere spettatore di esperienze altrui, o meglio, di vicende riguardanti altri. Dopo tanti anni ho ormai notato che alcuni amici tendono a confidarsi con me, e devo confessare che io li ascolto volentieri non solo per aiutarli, ma anche perche’ mi piace conoscere meglio le persone attraverso il giudizio di terzi. Cosi’, mi capita di assistere, popcorn alla mano, a creazioni e dissolvenze di amicizie, amori, litigi, conquiste. Stranamente tutto questa valanga di input mi tocca poco: sono meno empatico di quanto vorrei far credere, ma forse questo e’ un punto di forza quando il tuo ruolo e’ ascoltare e dare qualche consiglio. Tralascio la sensazione di estraneita’ al genere umano che ogni tanto mi pervade. Quello di cui invece vorrei parlare e’ di quanto spesso si sbagli nella creazione delle opinioni, e di quanto sia inquietante tutto cio’.
Non sono un buon giocatore di poker: non possiedo la proverbiale faccia e non riesco essere simulator ac dissimulator come Catilina. Cosi’ accade che a volte, mentre qualcuno si confida con me, questi si accorga che i miei pensieri stanno in realta’ divergendo. Alle volte cerco di cavarmela con un bluff, ma non sempre ci riesco. Il punto e’ che spesso, mentre il flusso confidenziale mi investe, se questo riguarda una terza persona non riesco a non chiedermi che cosa penserei io al suo posto. Cosi’ mi si creano due immagini nella testa della persona che mi sta davanti, quella formata dalle mie esperienze personali e quella creata dai fatti e avvenimenti capitati tra la persona confidente e l’oggetto della discussione. Spesso queste due collidono, e li’ nascono i casini. Perche’ quando sento dire “questa persona si comporta in questo modo con me”, non riesco a biasimarla. Anzi, il piu’ delle volte io mi comporterei nello stesso modo, viste le premesse. E’ una specie di problema della misura: pensando a quello che la terza persona vede, non trovo che la sua interpretazione sia in disaccordo con i fatti che le si presentano davanti. Anche pensando alla storia della loro relazione interpersonale, mi rendo conto che spesso c’e’ stato grande spazio per equivoci, e che un atteggiamento possa esser stato interpretato in due modi. E come si fa ad uscire da questo cul-de-sac?
Ho visto tanti casini emergere nella vita di terzi, che ormai credo non sia possibile creare un metodo per evitare tale immagini. Alla fine della confidenza, ho quasi sempre la presunzione di credere di aver capito gli equivoci che di volta in volta hanno portato a dei patatrac, ma preferisco sempre non vuotare il sacco. Alla fine gli equivoci sono sempre costruiti sull’incomprensione delle persone e sulla relativa incomunicabilita’. Molte persone confondono l’essenza di una persona con l’immagine di essa costruita nella propria mente. E questa illusione ottica e’ divergente, potenzialmente distruttiva, perche’ ha un effetto moltiplicatore. Le persone continuano a studiare l’immagine piu’ che la persona in se’, col risultato di generarne una nuova dall’interpretazione errata di altri avvenimenti. E’ come quando ci si ritrova in mezzo a due specchi, si vede l’immagine, poi accanto l’immagine dell’immagine, e poi piu’ in la’ l’immagine dell’immagine dell’immagine e cosi’ via. Ed ogni copia e’ piu’ distante dall’originale. Arrivati ad una certa distanza, c’e’ la rottura, inevitabile. L’unico modo per evitare questo effetto sarebbe tornare sui propri passi, e dubitare di se’ stessi. Quasi impossibile.
Ogni volta che mi accade di assistere a fenomeni del genere sono un po’ pervaso dalla paura, e mi metto sulla difensiva. Che succede se alla fine sono io quello che crede di aver capito, e che invece sta guardando l’ennesima immagine riflessa nella coppia di specchi? Alle volte penso a me stesso come un pomposo figlio di puttana che crede di sapere sempre tutto – o quantomeno molto piu’ degli altri. E alla fine la domanda “e se mi stessi sbagliando?” torna sempre fuori, e lascia l’amaro in bocca. E’ strano come questo dubbio si applichi anche a questo post, delle cui premesse ora mi vien da dubitare. Forse questa sensazione e’ l’unica che riesco a dissimulare con efficacia, quando qualcuno si confida con me. L’unico risultato e’ che tale sensazione mi impedisce di vuotare il sacco quando coloro che si confidano mi chiedono un’opinione finale. Ma magari non dovrei essere io a valutare l’efficienza nell’unica dissimulazione che mi riesce.
KW18
Simone Moro, Denis Urubko e Cory Richards hanno scalato nel 2011 per la prima volta il Gasherbrum II in invernale. Il loro corto sulla spedizione ha vinto diversi premi cinematografici.
IL Monte Thor, in Canada, ha la parete completamente verticale piu’ alta del mondo. Gia’ solo le foto sono impressionanti.
Sul mio comodino ho diversi libri e saggi di storia e giornalismo. Uno dei migliori e’ “Intervista con il potere” di Oriana Fallaci. Molto interessante e’ l’intervista ad Ariel Sharon.
Il Lago Vostok e’ un lago sotterraneo che giace sotto 3.7 km di ghiaccio in Antartide. E’ stato violato dai carotaggi nel 2013.
Dal 1865 al 1927 moltissimi paesi europei e non avevano fissato il cambio, o meglio equiparato la titolazione delle monete (c’era il Gold Standard). Tali accordi sono state in parte responsabili della difficile ripresa delle economie dopo la prima guerra mondiale.
L’evento di Carrington del 1859 e’ stata la piu’ grande tempesta solare mai abbattutasi sulla Terra in epoca recente. Ha provocato aurore boreali fin sui Caraibi e scintille sui piloni del telegrafo di mezzo mondo.
Per capire meglio la crisi, consiglio questo paper di Frenkel e Rapetti sul Cambridge Journal of Economics.
La dualita’ dei libri
La casa di un emigrato a volte e’ innaturalmente spoglia. Non nel senso di vuota, ma proprio nel senso di spoglia, nuda: tutte le cose che ci sono dentro sembrano non essersi mai integrate con i muri circostanti. In fondo riflettono quell’aria di sistemazione provvisoria di qualcuno che non si sa dove andra’, una sorta di perenne fase pre-trasloco. Cosi’ e’ anche la mia stanza da letto, spoglia. E fra le varie cose, il piu’ spoglio di tutti e’ il tavolino che ho accanto al letto. E’ pieno zeppo di libri che non faccio altro che leggere e rileggere, ma non e’ un comodino vero e proprio, solo un tavolino IKEA da 5 euro. Non e’ quasi degno della sua essenziale funzione, permettermi di tenere ad un braccio di distanza quei libri che popolano le mie sere da tempo, e farmeli trovare ogni volta che ho bisogno.
Sono uno che rilegge i libri anche decine di volte. Credo che il record sia di La Grande Fuga dell’Ottobre Rosso, di Clancy. In questo caso siamo ben oltre il centinaio. Trovo curioso questo fatto, in fondo la rilettura e’ uno degli argomenti di cui meno si parla con gli amici, su cui meno ci si confronta. Si parla sempre dei libri che si sono letti, ma quando avete sentito una frase del tipo “Ho riletto il libro…”? Eppure credo di non essere il solo a farlo. Pero’ c’e’ una cosa particolare che mi capita rileggendo i libri, e forse questo non capita a molti. Anche stasera, leggendo “Mortalita’” di Hitchens, mi e’ capitato. Alle volte, specialmente dopo la quarta o quinta rilettura, mi viene naturale associare il libro a una persona che conosco. E quando ho questo pensiero capisco di aver infranto una barriera particolare del libro, e’ come aver sbloccato il bonus level di un videogioco. Mi si fa sempre piu’ forte in testa l’idea che a Tizio o Caio piacerebbe un sacco questo libro, poi ti domandi perche’ tale libro dovrebbe essere apprezzato e da li’ si parte per la tangente. Dedicare nella tua mente un libro a una persona e’ una sorta di meta-analisi del libro: ti permette di riavvolgere il nastro dell’esperienza di lettura, di capire cosa ti ha lasciato il libro, i meccanismi che ha acceso nella tua mente. Sono questi i concetti che vengono associati alla persona, perche’ ritieni che probabilmente essa sara’ capace di avere simili esperienze leggendolo. E poi mi faccio prendere dall’impeto, dall’entusiasmo, e vorrei davvero regalare il libro alla suddetta persona.
Questo entusiasmo, pero’, si spegne sul nascere. Io sono davvero geloso dei miei libri, e difficilmente li regalo, me ne privo. Ogni tanto penso di comprarne una seconda copia, e di regalarla, ma non e’ facile – soprattutto per una persona in fuga come me, quasi sempre lontana dal destinatario teorico. Cosi’ mi ritrovo col libro in mano, e penso che sarebbe bello un mondo in cui i libri si possano sdoppiare, geminare, come i batteri blu di Esplorando Il Corpo Umano che popolano i miei ricordi di bambino. Questo desiderio, rendere un libro da unico a duale, e’ forse un riflesso, il tentativo di tenere viva e forte la sensazione del dono, di non voler uscire dal bonus level. Sarebbe un bel mondo, quello in cui ogni libro e’ doppio. Forse l’unico non troppo contento sarebbe quel tavolino spoglio, che quasi soccombe sotto il peso dei miei libri riletti.
Masturbazioni musicali
Questa domenica ero stanco dei soliti porno.
Leggere controcorrente
Per il mio compleanno alcuni cari amici mi hanno fatto dono di un buono Amazon, da spendere come piu’ mi aggrada. E’ stata davvero una bella mossa: sia per loro, che non hanno dovuto scervellarsi piu’ di tanto a scegliere un regalo specifico (che cazzo vorra’ mai un 31enne? e’ una domanda alla quale nessuna risposta soddisfacente e’ data, da secoli), sia per me, che ho potuto togliermi qualche sfizio poco confessabile. No, non ho comprato falli di plastica conici e alti un metro. Ho comprato un libro. Uno di quei libri che e’ nella tua lista da anni, e che ti sfida fin dal titolo. Uno di quelli di cui hai sentito spesso parlare, che tratta di un argomento che avresti sempre voluto approfondire, al cui pensiero sfoderi un sacco di condizionali passati. Insomma, un mattone gigante il cui desiderio non confesserai mai, semplicemente perche’ il suo tema e’ molto distante da qualsiasi conversazione tu possa avere con amici e colleghi. Ho preso “Contro il metodo” di Paul Feyerabend, e lo sto leggendo da alcuni giorni, ogni sera.
“Contro il metodo” dichiara fin dalla prefazione, anzi fin dal titolo, di voler sparare a palle incatenate contro la routine del metodo scientifico. Wikipedia mi informa che e’ stato aspramente criticato all’inizio, ma che poi e’ diventato un successo planetario. Ora, io non voglio entrare nel merito di quanto Feyerabend dice – anche perche’ non l’ho ancora finito, figurarsi se l’ho digerito. Al contrario, voglio focalizzarmi sulla mia personale esperienza di lettura di un tale libro. Perche’ alla fine io, da fisico, il metodo scientifico lo uso tutti i giorni, anzi lo propagando a destra e a sinistra come un modo valido di conoscere perche’ ho provato sulla mia pelle la sua potenza. E leggere un libro che ti dice, con lo stile diretto che ha reso famoso Feyerabend, che e’ l’anarchia a spingere la conoscenza, e non la codifica di un metodo, e’ sorprendentemente difficile. Non esagero quando dico che e’ il libro di piu’ difficile lettura che abbia mai incontrato in vita mia. Il motivo non e’ legato allo stile o alla pesantezza del contenuto – mica e’ l’Ulisse di Joyce – ma all’atteggiamento del lettore. Come si puo’ leggere un libro verso cui hai pregiudizi?
Il libro un pelo ti aiuta nella sua forma. E’ fatto da capitoletti lunghi meno di dieci-quindici pagine, come se Feyerabend volesse che lo prendessi a piccole dosi, un po’ alla volta. Tuttavia, e’ un libro che richiede una non trascurabile dose di concentrazione. Non e’ facile, e’ scritto piccolo, denso, ogni parola va digerita a lungo. E’ un libro per erbivori della filosofia della scienza. La cosa sorprendente e’ che io non riesco a stare concentrato come mi capita su altri libri. E’ il libro stesso a sviarti, perche’ ad ogni paragrafo i miei pensieri partono per la tangente, e sono tutti tesi a confutare l’idea o l’avvenimento storico in seno alla scienza che ho appena letto. Ho come una smania di farlo, mi suona davvero tutto storto. E’ pure frustrante, per uno che si vanta della propria capacita’ di concentrazione. Come si fa ad andare attraverso le 250 pagine con tutto sto casino in testa? Suona come una sfida per me, e’ forse un effetto della sua dichiarazione iniziale cosi’ tempestiva. Lo leggi come se stessi nuotando controcorrente in un fiume: ad ogni capitoletto il libro cerca di tirarti su, e tu senti tutta l’acqua, la familiare acqua che e’ il tuo elemento, e che e’ allegoria dei tuoi pensieri, venirti incontro e spingerti nella direzione opposta. E dopo un po’ non capisci piu’ niente a causa del gorgoglio che ti appanna la vista e ti impedisce i movimenti, mentre senti che il libro ti da’ un altro strattone verso la sorgente. Senza contare poi che gia’ solo il fatto di leggere qualcosa che chiaramente vuole andare contro quello che tu ritieni un modo giusto di procedere e’ una sorta di violenza. E’ come se tu fossi un professore di liceo e dovresti leggere il tema di un tuo alunno che spara un mare di cazzate. Oddio, magari questo e’ una mancanza di rispetto per Feyerabend, la cui profondita’ di pensiero davvero non si merita di essere associata ad un alunno scapestrato delle scuole superiori – e neppure la mia a quella di un maestro dell’argomento, sia chiaro. Pero’ penso che la situazione sia simile, e devi andare avanti a “correggere”, o quantomeno a capire quello che c’e’ scritto, vuoi per dovere o vuoi per rispetto nei suoi confronti.
Ci sono poi alcune cose che mi hanno dato davvero fastidio, come ad esempio il discorso della consistenza della nuova teoria con quelle precedenti, la cosiddetta condizione di coerenza. E’ uno dei suoi primi argomenti, a riprova del fatto che lo stile diretto di Feyerabend e’ davvero asciutto e va dritto al punto. Su questo gli ho dato ragione su tutta la linea, non bisogna essere consistenti con le teorie precedenti, ma con gli esperimenti precedenti, e bisogna pure valutare le barre d’errore di tali esperimenti per poter capire entro quale margine c’e’ spazio per una nuova teoria. Quello che mi ha dato davvero fastidio e’ che lui propagandi questo come un cardine del metodo scientifico che va rimosso. Ora, non sono certo un esperto di epistemologia della scienza quanto lui, ma da par mio ho sempre saputo che la scienza vuole quello che sostengo io e che sostiene lui, non quello che lui cerca di confutare. Questo aspetto del procedimento scientifico l’ho trovato in cento posti diversi, dalle lezioni di Feynman alle reminescenze di Popper che ho dalle superiori. Eppure lui dice, e con dotte citazioni come quella di Newton, che il metodo scientifico prevede la consistenza delle teorie e non degli esperimenti. Non e’ un po’ strano tutto cio’? Suona come una bestemmia per me, dire che il metodo di cui tu in prima persona ne testi l’efficacia ogni giorno codifichi un processo d’indagine diverso da quello che tu hai sempre creduto. Anche questo aspetto e’ suonato come un piccolo oltraggio, che certo non ha aiutato nella facilita’ di lettura. E giu’ di pensieri su cosa tu hai imparato dai libri, su cosa ti e’ stato insegnato e su cosa davvero e’ il metodo da un punto di vista storico.
Come ho gia’ detto, non ho ancora finito il libro. Al netto di tutte queste difficolta’, che – credetemi – sono davvero sorprendenti, non e’ ancora subentrata in me l’inerzia di lettura, cioe’ l’equivalente letterario del muro dei 30 km nella maratona. E’ il momento in cui continui a leggere un libro solo per poter dire di averlo finito, in cui i tuoi occhi vanno avanti col pilota automatico e la porta d’accesso al tuo cervello si e’ gia’ chiusa da un pezzo. Lo trovo ancora un libro interessante, se non altro per il fatto che ci sono ancora molte pagine. C’e’ una speranza non remota che il libro possa essere un crescendo, che cominci con l’artiglieria leggera e poi sfoderi i cannoni da 381, quelli che fanno davvero male ma che sei proprio contento che sparino (le corazzate sono una figata per ogni bambino proprio per questo). Inoltre, Feyerabend e’ davvero bravo nella sistematicita’ dell’analisi. In diversi momenti mi si sono formate nella mente delle obiezioni che ho trovato poi discusse poche pagine dopo. Una sorta di lettura della mente del lettore che provoca vivo piacere. Onore al suo merito, e un po’ anche al mio, per aver scelto un modo tutto particolare di celebrare il mio compleanno.
Non ce la faccio a stare zitto
Da un bel po’ di tempo mi domando se in questo blog c’e’ davvero posto per qualche considerazione politica. Finora ho fatto voto di escluderla dai temi trattati qua dentro, anche se devo confessare che io di politica discuto tutto il giorno su altri canali. Dopo quello che e’ successo ieri, pero’, voglio fare un’eccezione. Non scrivero’ un pippone sulla rava e la fava, ma voglio solo segnalarvi la mia risposta ad un post di Giuseppe Civati, questa. Per cortesia, leggete prima il suo post. Diciamo che oggi mi sento di fare coming out, perche’ ci sono cose – anche e soprattutto per un emigrato – che non possono passare sotto silenzio. Ma vale solo per questo post e per i suoi eventuali commenti. Negli altri post tornero’ a descrivere le mie fughe cerebrali lontano dal pensiero comune e purtuttavia vicine alla realta’, promesso.
Da che parte e’ il pubblico, amico?
Lemmy con gli Hawkwind. Prodromi al concerto alla Roundhouse, 1972
“Dikmik e io eravamo su da circa tre giorni filati, buttando giu’ Dexedrina come caramelle. Poi cominciammo a diventare un po’ paranoici, quindi prendemmo qualche calmante – del Mandrax – ma pensammo che non andava bene perche’ ci calmava troppo, cosi’ prendemmo dell’acido e poi un po’ di mescalina per rendere il tutto piu’ colorato. Cominciavamo a esagerare, pero’, quindi prendemmo un altro paio di Mandrax… e poi dell’altra anfetamina perche’ eravamo di nuovo troppo rallentati. Poi andammo alla Roundhouse. Dikmik era alla guida ed era particolarmente interessato a un lato della strada, cosi’ continuava a sterzare per guardarlo meglio. Alla fine arrivammo a destinazione ed entrammo nel camerino che era pieno di fumo – tutti quanti si stavano facendo le canne. Allora ci sedemmo li’ per un po’ e arrivo’ qualcuno con della cocaina, cosi’ prendemmo anche un po’ di quella, poi’ arrivo’ qualche Black Bombers (o Black Beauties, come le chiamavano negli States, eccitanti, insomma) e ne prendemmo otto a testa. Ah gia’, prendemmo anche un altro po’ di acido. Quando salimmo sul palco, io e Dikmik eravamo rigidi come tavole! “Porca troia, ‘Mik”, dissi io, “non riesco a muovermi, e tu?”
“No”, rispose lui. “Grande, non e’ vero?”
“Gia’, ma dobbiamo arrivare sul palco in fretta.”
“Oh, qualcuno ci dara’ una mano”, mi assicuro’.
Allora i roadies fissarono i tacchi dei nostri stivali in fondo al palco e ci rizzarono in piedi, poi mi misero il basso a tracolla.
“Perfetto”, dissi io, “Da che parte e’ il pubblico, amico?”
“Da quella parte.”
“Quanto lontano?”
“Cinque metri.”
Allora diedi il via: “Un, due, tre, quattro. Cominciamo.”
Fu una delle nostre migliori esibizioni dal vivo di sempre.”
Lemmy, “La sottile linea bianca”, autobiografia.
KW15
Giuseppe Guarino, 90enne professore emerito di Diritto Amministrativo ed ex ministro, ha scritto un meraviglioso e lucidissimo saggio sull’Euro e sul Fiscal Compact dal punto di vista del diritto.
Se siete in cerca dell’editor di testo definitivo, provate Sublime Text. Potentissimo, pieno di pacchetti aggiuntivi, versatile e facile all’uso.
La stella piu’ massiva conosciuta, R136a1, e’ talmente grossa che supera di gran lunga il limite di Eddington e gli astrofisici, per giustificarne l’esistenza, han dovuto rivedere i loro modelli di evoluzione stellare.
La spiegazione di Randy Bachman del primo accordo di A Hard Days Night dei Beatles. Grazie ad AB per questa chicca.
Il White Coffee e’ un caffe’ originario di Ipoh, Malesia. Il suo colore da caffelatte si ottiene tostando i chicchi nella margarina. Servito freddo e’ delizioso.
Titanic e’ il piu’ grande giornale satirico tedesco, talmente irriverente che una sua copertina tempo fa e’ stata bloccata per esplicito intervento di Ratzinger.